Intervista a Valerio Colomasi Battaglia, neo presidente Mario Mieli: “Ulteriori compromessi snaturerebbero DDL Zan”

DDL Zan e Roma Pride, eventuali piazze da organizzare a favore della legge contro l'omotransfobia e politici da avanspettacolo che diffondono atroci argomentazioni. Di tutto questo abbiamo parlato con Valerio Colomasi Battaglia, neo presidente del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli.

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Prima tesoriere e successivamente vicepresidente, nella giornata di ieri Valerio Colomasi Battaglia è stato eletto nuovo Presidente del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli, tra le principali associazioni LGBT d’Italia nonché da sempre organizzatrice del Roma Pride.

A 24 ore dalla sua nomina abbiamo intervistato Valerio, tra passato, presente e futuro del Circolo stesso e soprattutto dell’Italia LGBT, con il DDL Zan atteso tra Camera e Senato nel pieno di un’estate che si preannuncia rovente.

Da vicepresidente a presidente dopo le dimissioni di Sebastiano nel giro di pochi giorni. Cosa hai imparato da Secci, in tutti questi anni passati al suo fianco, e qual è stato il tuo percorso all’interno del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli.

Ho imparato tante cose da Sebastiano. Innanzitutto ho imparato a capire le varie dinamiche all’interno del Circolo, associazione che ha quasi 40 anni, è molto complessa. Quando sono arrivato al Circolo avevo già un’esperienza LGBT ma si trattava di un’associazione universitaria, molto piccola, relativamente semplice nelle sue dinamiche interne. Il Circolo ha varie attività e un gruppo di soci, che è il nocciolo duro dell’associazione, che stanno qui da 20 anni e che hanno tantissimo da raccontare, e non solo in termine di Storia ma proprio di rapporti con la comunità. Sebastiano mi ha dato una grossa mano per capire come vivere il Circolo dal punto di vista stagionale, mentre sul piano più personale mi ha aiutato ad incalanare le energie che impiegavo nell’attivismo. Quando ti ritrovi a dover gestire associazioni tanto grandi e complesse, che portano avanti anche rapporti politici con altre associazioni, sei a volte portato ad inseguire qualsiasi mal di pancia, problematica di tipo politico. E a volte questa cosa ti fa perdere di vista il fatto che l’obiettivo dell’attivismo non sono le associazioni ma la comunità. Bisogna essere consapevoli, e la storia di Sebastiano l’ha dimostrato, che ogni minuto che noi dedichiamo a dinamiche politiciste tra di noi è un minuto che togliamo alla comunità. Imparare a ricalibrare il proprio impegno e ricordarsi bene qual è l’obiettivo finale di quello che facciamo.

 

La tua presidenza prende forma in un momento molto particolare e a dir poco significativo. Il 27 luglio arriverà alla Camera dei Deputati la tanto attesa legge contro l’omotransfobia, che il Mario Mieli ha pubblicamente appoggiato, dicendo però no a “potenziali trattative umilianti finalizzate all’ennesimo compromesso al ribasso”. C’è un punto di non ritorno, in tal senso?

Nella costruzione di questo testo base abbiamo collaborato con i parlamentari che ci hanno lavorato, per allargare il focus. Inizialmente le proposte erano molto più sbilanciate su un approccio di sanzione penale. Non che questo non sia importante, ma noi ci tenevamo che una legge contro l’omolesbobitransfobia si focalizzasse sulle cose positive. Perché sono quelle che poi producono il cambiamento culturale più forte all’interno del Paese. L’abbiamo visto con le unioni civili. L’impatto culturale è stato potentissimo. Per noi il testo è tutto un punto di non ritorno. Quel testo ha raggiunto un equilibrio tale che qualsiasi compromesso lo snaturerebbe. Lo vediamo anche in questi giorni con il dibattito su ‘genere’ e ‘identità di genere’. Ogni parola cancellata o cambiata all’interno di quel testo può avere effetti negativi rilevanti. La nostra rivendicazione è che quel testo, che è già un percorso di compromesso, perché abbiamo trovato una formula che potesse tenere insieme le esigenze di più attori tra società civile e politica, non debba essere messo in discussione nei suoi componenti fondamentali.

 

È proprio di oggi la notizia che grazie ad un emendamento 5 Stelle è stato istituito un fondo di 4 milioni di euro per l’istituzione di case rifugio e sportelli di ascolto per le vittime di atti omotransfobici. Un’ottima notizia, ma c’è già chi polemizza. I contrari al DDL dicono che sono troppi soldi, mentre tra i favorevoli c’è chi dice che sono troppo pochi.

Quando si parla di azioni positive contro le discriminazioni, le risorse investite non sono mai abbastanza. È un periodo sicuramente difficile dal punto di vista economico, ma le azioni di contrasto alle discriminazioni sono funzioni che svolgono le associazioni no profit come il Circolo e come tante altre e che non ricadono sulle spalle dello Stato. Il valore aggiunto delle attività che vengono fatte in base al principio di sussidarietà che è all’interno della nostra idea di Stato è che determinati servizi devono essere resi da chi è più in grado di farlo. Le istituzioni possono e dovrebbero mettere in campo dei servizi pubblici, ma è chiaro che delle associazioni che hanno una storia e un contatto diretto con la comunità siano più consapevoli di quali siano i bisogni a cui bisogna dare una risposta. Capisco il discorso del periodo economico difficile, ma tutti questi investimenti alleggeriscono il carico dello Stato. Perché altri si fanno carico di quei servizi, vedi le associazioni, ma anche perché riducono la marginalità sociale. Non invesitre per non ridurre questi spazi vorrebbe dire abdicare alla funzione che lo Stato ha. Noi associazioni siamo abituate a fare con quello che abbiamo. Se arrivano 100 euro e ne mancano 50 organizziamo una colletta, troviamo quei soldi che mancano per dare servizi. Se fossero di più sarebbe meglio, ma già il gesto di cominciare/continuare ad investire è un segnale politico molto importante.

I cattoestremisti riempiranno alcune piazze d’Italia tra l’11 e il 16 luglio prossimo, nel pieno di una pandemia, per dire no al DDL Zan. A Roma, ad esempio, si ritroveranno davanti Montecitorio. In tanti si sono chiesti come mai le associazioni LGBT nazionali non abbiano pensato ad una serie di manifestazioni statiche, di piazza, in sicurezza, pro-DDL. Solo a Napoli si è visto qualcosa di simile. Voi del Circolo avete pensato ad un ipotetico bis romano?

È innegabile che la situazione in cui ci troviamo, di post-covid e in pieno luglio, pone un problema obiettivo di difficoltà organizzativa. Detto questo non c’è una volontà di abbandonare le piazze al Family Day. C’è un tema legato alle tempistiche. Penso che la discussione della legge avrà bisogno di un sostegno da parte della comunità che non si riduca ad un evento in piazza, ma un sostegno di lungo termine, che si può costruire creando soprattutto consapevolezza. In questo momento la tematica sulla legge all’interno della nostra comunità parrebbe non essere all’ordine del giorno, le stesse persone LGBT non sembrano attive su questo tema. Noi stiamo cercando di attivare la comunità, in modo che qualsiasi azione politica eventuale abbia alla base una squadra di persone già pronte a farsi portavoce del nostro messaggio in favore di questa legge. Anche perché facendo tesoro di quanto avvenuto negli scorsi anni, è innegabile come la discussione di una legge che riguarda la nostra comunità è un processo molto doloroso. Da un lato c’è una questione di tempi, perché organizzare in poche settimane una piazza a Roma, post-covid e in pieno luglio, non è semplice, ma è ancora di più una questione di strumenti. Vorrei che non ci fossero delle iniziative spot, ma una sorta di community organizing. Noi dobbiamo organizzare la nostra comunità, attivarla, e fare in modo che non siano solo le associazioni a chiamare la piazza, ma che da Siracusa ad Aosta ci siano attivisti LGBT pronti a fare dibattiti, a fare piazze. Solo in questo modo il lavoro che portiamo avanti potrà avere un’efficacia maggiore rispetto ad una semplice piazza.

Il Roma Pride 2020, che ricordiamolo da sempre viene organizzato dal Circolo Mario Mieli, è stato ufficialmente rinviato, e non cancellato. Questo significa che potrebbe riprendere forma e vita tra settembre e ottobre? Cullate ancora questa speranza?

L’abbiamo rinviato per mantenere aperte varie strade. In questo momento le notizie sulla pandemia che arrivano non sono molto positive, nei confronti di un Pride a Roma. Ma sarà uno dei temi che cercheremo di affrontare nelle prossime settimane per capire se ci sono i margini per essere presenti. Al momento non ci sono risposte, perché la situaizone in cui ci troviamo non ci permette di programmare troppo. Navighiamo a vista. Sicuramente o ci sarà qualcosa o se non dovesse esserci il Roma Pride 2020, il Roma Pride del 2021 sarà indimenticabile. Ne faremo due in uno.

 

Pride puntualmente finito sotto i riflettori persino quest’anno, dinanzi alla totale assenza di qualsivoglia sfilata, grazie ad Alessandro Di Battista, che ha sottolineato come ci sia “chi pretende diritti esibendosi in volgari forme di trasgressione”. Tutto questo mentre Salvini invoca una legge contro l’eterofobia. Nel 2020, in Italia, siamo ancora a questo tipo di dibattito politico, portato avanti da senatori della Repubblica, ex ministri e deputati, e non da personaggi di avanspettacolo. Come uscirne.

Hai detto bene, è proprio avanspettacolo. Continuare con queste argomentazioni, anno dopo anno, su cui neanche le loro basi li seguono più, perché neanche le loro basi capiscono ormai questo accanimento. Si rivolgono a gruppi organizzati che in varie forme contrastano i diritti LGBT+ e che ad ogni elezione puntualmente li sostengono. Sono politici che pagano pegno. L’abbiamo visto in Umbria, con la cancellazione della possibilità del Day Hospital per l’aborto farcamacologico per rispondere alle richieste del senatore Pillon, e l’abbiamo visto con la legge sulle unioni civili, quando i 5 Stelle si tirarono indietro all’ultimo momento. Sono più legate a dinamiche di bassa lega, di bassa politica, di riequilibrio di rapporti tra di loro, non c’è un contenuto politico, non c’è una tesi dietro queste affermazioni, c’è soltanto un ammiccare a dei mondi che purtroppo in questi ultimi anni ha trovato spesso sponde, anche al Governo del Paese. Mondi che in periodo Covid-19 sono forse usciti danneggiati, perché quando la gente vede in faccia la paura, reale, è più vaccinata da chi vuole vendere la paura nei confronti dell’altro per motivi elettorali.

 

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