Dall’emanazione di uno dei regolamenti più omofobi e intransigenti a livello mondiale in Uganda, qui la comunità LGBTQIA+ non è più al sicuro. Lo dimostra la recente aggressione a un prominente attivista per i diritti gay, accoltellato in pieno giorno nei pressi della sua abitazione. Aveva già ricevuto minacce.
Steven Kabuye, 25 anni, è miracolosamente sopravvissuto all’attacco e si trova oggi ricoverato in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita.
La dinamica dei fatti è da film dell’orrore: due uomini ancora non identificati a bordo di una motocicletta avrebbero sorpreso Kabuye mentre si stava recando in ufficio, sarebbero scesi dalla moto per poi colpirlo con tre fendenti – uno al collo, uno al braccio e uno allo stomaco – e lasciarlo morire in mezzo alla strada.
Il tutto ripreso dallo smartphone dello stesso Kabuye, in un video ricondiviso poi dall’account X dell’associazione LGBTQIA+ per cui opera come volontario, Coloured Voices. La polizia Ugandese si è dichiarata estranea ai fatti fino a poche ore fa, ma ha promesso un’indagine approfondita sull’accaduto.
Frank Mugisha, primo portavoce della comunità LGBTQIA+ nel paese, non ha però dubbi: si tratta di un’aggressione a sfondo omobitransfobico, incoraggiata anche dall’atteggiamento istituzionale sempre più ostile verso le minoranze sessuali:
“L’odio profondo per la comunità che la nuova legge ugandese dimostra non fa altro che incentivare attacchi di questo tipo. Ne vedremo sempre di più, purtroppo”.
Ricordiamo infatti che il nuovo regolamento, approvato l’anno scorso in una bufera di critiche a livello internazionale, prevede la pena di morte per alcuni reati legati all’attività sessuale tra persone dello tesso sesso. Almeno sette persone sono state arrestate per i suoi effetti, ma i gruppi di attivisti riportano una situazione ancora più grave.
Si parla di un’escalation di violenza privata contro persone gay, lesbiche e transgender tra stupri punitivi, torture e veri e propri pestaggi organizzati, con buona pace delle forze di polizia che spesso archiviano sommariamente le indagini – quando non sono esse stesse a perpetrare le violenze.
Di fronte alle crescenti preoccupazioni internazionali, il governo ugandese ha però rilasciato dichiarazioni in cui minimizza la gravità della situazione, sostenendo che una delle leggi più contestate, criticata per la repressione degli individui LGBTQIA+, avrebbe in realtà l’obiettivo limitato di criminalizzare le pratiche omosessuali e la loro promozione, piuttosto che colpire l’intera comunità.
Questa posizione, tuttavia, sembra ignorare le contraddizioni tra le esperienze vissute dalla comunità LGBTQIA+ e l’immagine che il governo cerca di proiettare: se il caso di Steven Kabuye ha raggiunto l’attenzione internazionale, è impossibile stimare la mole dell’ondata di violenza e repressione verso la comunità in tutto il paese poiché molti casi non vengono denunciati.
A dicembre, alcuni attivisti per i diritti LGBTQIA+ in Uganda si sono rivolti alla corte costituzionale per chiedere al governo di abrogare il nuovo regolamento – causa corroborante se non scatenante di episodi simili – poiché incostituzionale. Ad oggi, tuttavia, si attende ancora una sentenza.
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