La seconda Corte più alta dell’Uganda ha ufficialmente lanciato una sfida alla draconiana legge Kill the Gays, portata avanti da alcuni di gruppi di difesa dei diritti umani, attivisti LGBTQIA+ e da due membri del Parlamento. La contestatissima legge, che criminalizza l’omosessualità in Uganda con pene detentive fino a 20 anni di carcere e pena di morte per la cosiddetta “omosessualità aggravata”, è stata approvata a stragrande maggioranza dal Parlamento e controfirmata dal presidente Yoweri Museveni lo scorso maggio. A nulla sono servite le pressioni degli Stati Uniti e della Banca Mondiale.
Lunedì una giuria di cinque giudici nella capitale Kampala ha iniziato ufficialmente a rivedere le argomentazioni scritte del caso. Tra i ricorrenti alla Corte figura Fox Odoi-Oywelowo, ovvero uno dei due membri del Parlamento che hanno votato contro la legge anti-omosessualità. Il deputato, un tempo consulente legale senior del presidente Yoweri Museveni, aveva contribuito a respingere l’ultima versione della legge Kill the Gays, quando arrivò in tribunale nel 2014. I sostenitori della legge sostengono che l’Occidente avrebbe imposto i suoi valori corrotti all’Uganda a scopo di lucro, come le potenze coloniali del passato.
Secondo il ministro degli Esteri ugandese Henry Okello Oryem, le nazioni occidentali avrebbero cercato di “costringerci ad accettare relazioni omosessuali utilizzando aiuti e prestiti”. Odoi-Oywelowo sostiene invece che sarebbero ben altre le influenze esterne che hanno portato a questa imposizione di “un’ideologia dell’odio” in Uganda.
“L’omofobia non ha mai fatto parte delle società africane tradizionali”, ha detto a OpenDemocracy a marzo. Odoi-Oywelowo ha denunciato gruppi come Family Watch International, che ha sede in Arizona e che avrebbe speso ben 26 milioni di dollari solo in Uganda, con l’accusa di voler promuovere un’agenda nazionalista cristiana estrema in Uganda e in tutta l’Africa. Questo gruppo è ampiamente riconosciuto come autore di entrambe le versioni delle leggi anti-omosessualità dell’Uganda, nel 2014 e del 2023, e di una legge simile in Kenya.
A settembre, in un discorso davanti all’African Bar Association, la presidente di Family Watch International Sharon Slater aveva affermato che erano i paesi stranieri a voler promuovere un’agenda laica, e non la sua organizzazione, tendando una “ricolonizzazione sessuale e sociale dell’Africa” attraverso l’aborto e i diritti LGBTQ+.
Nella contestata legge sono presenti anche pene per “promozione dell’omosessualità”, che criminalizza chiunque sia associato a un’organizzazione LGBTQ+, sia esso un proprietario di un locale che ospita persone LGBTQ+ o aziende o alleati di gruppi di difesa. Identificarsi o comportarsi “contrariamente alle categorie binarie di maschio e femmina” comporta una possibile pena detentiva di 10 anni. Anche gli ugandesi LGBTQIA+ che vivono all’estero si sono trovati minacciati dalla legge. Un uomo gay di 25 anni che vive e lavora nella città canadese di Edmonton dal 2018 ha detto a Global News che temeva per la sua sicurezza, rischiando la deportazione in Uganda. Questo perché i funzionari canadesi gli hanno negato la sua richiesta di asilo, non potendo “verificare” il suo orientamento sessuale. L’ordine è stato ufficialmente annullato il 15 dicembre, quattro giorni prima della prevista deportazione.
Secondo un rapporto pubblicato ad agosto dallo Strategic Response Team, quest’anno gli ugandesi LGBTQ+ hanno dovuto affrontare un “aumento sconcertante” di abusi fisici ed emotivi, correlati all’introduzione e all’approvazione della legge “Kill the Gays” . Il rapporto ha identificato oltre 300 violazioni dei diritti umani e civili subite dalle persone LGBTQIA+ in Uganda solo tra gennaio e agosto. Centinaia hanno perso la casa o sono stati esiliati dalle loro comunità, mentre altri sono stati picchiati e torturati; il rapporto afferma che quest’anno la polizia ugandese ha eseguito almeno 18 perquisizioni non consensuali della cavità anale su prigionieri LGBTQIA+, pratica che è stata condannata come tortura da numerosi gruppi internazionali, tra cui le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
A novembre, l’amministrazione Biden ha espulso l’Uganda dall’African Growth and Opportunity citando “gravi violazioni” dei diritti umani e di altri requisiti di ammissibilità.
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