La creatura è nata qualche settimana fa.
Lo so, perché il gruppo chat dei famigliari segnava una cosa come 58 notifiche. Credo l’abbiano chiamata Sara, ma non ci giurerei. Non ricordo mai i nomi dellǝ bambinǝ che nascono.
I parenti li frequento poco, quando si può, una volte o due l’anno se siamo fortunati, e ogni volta lǝ neonatǝ si triplicano rispetto la precedente.
Ad annunciare la nascita, un video di mio cugino davanti questo pallone a elio gigante: scoppia il pallone e ne escono fuori altri trecemila, tutti rosa.
I messaggi del gruppo chat li vedo sempre in ritardo, ma uno vale per tutti: congratulazioni, auguri, finalmente una femminuccia. Con il palloncino rosa la creatura adesso è segnata, marchiata prima di essere messa al mondo. Inconsapevole dorme beata nell’involucro, senza pensieri, senza preferenze o il briciolo di coscienza.
Non è letteralmente nulla, se non viva e vegeta.
Vorrei tanto intervenire e dire che la creatura non è femmina, è solo rosa.
Ma non fiato mai, disserto la conversazione, dimentico il suo nome.
Perché rovinare la festa?
Perché dire la tua su unǝ figliǝ che non è tuǝ, tu che non sai prenderti cura di niente e non cambi nemmeno l’acqua alle tartarughe?
Perché creare una questione intorno dei palloncini?
Mi agitano i palloncini, o il fatto che la mia famiglia non contempla nulla oltre quei due colori? Quei colori rappresentano due corridoi rigorosamente separati, strutturati verso due reparti che non possono convergere. Se poco poco ti permetti di entrare nel reparto che non è tuo, scoppia l’allarme antincendio.
È così che le mura si fanno sempre più strette, ti muovi a stento in quello spazio che diventa angusto e pieno di spigoli. Non si respira più nel reparto che ti hanno assegnato, ma nemmeno in quello opposto perché entrarci comporta vergogna, imbarazzo, invertire l’ordine che è stato deciso per te.
O forse agita perché mi sembra una conversazione fuori tempo massimo: torno a casa, esco dalla mia bolla, e mi accorgo che nel mondo reale i maschi sono ancora celesti, le femmine rosa, e la conversazione mi sembra ferma al 1994.
“Il binario di genere è come quell’ospite alla festa che si presenta prima che tu faccia in tempo a sederti a tavola. Unǝ bambinǝ non è nemmeno nato che benintenzionati benefattori chiederanno “È maschio o femmina?”. Lǝ neonatǝ diventa reale agli occhi delle persone solo quando sanno il genere. Ma esistono tante domande più importanti da chiedere: “Come sta?” oppure “Come posso aiutarti durante questo periodo?” o anche “Perché è così costoso crescere dellǝ figliǝ” o persino “Dove posso donare per essere d’aiuto?” (Alok Vaid- Menon, Beyond The Gender Binary)
Eppure è difficile dirottare un gender reveal. Lǝ attivistǝ su Instagram riescono a incazzarsi una volta al giorno mentre io qui faccio fatica a rovinare la festa a qualcuno. Perché quando togli una certezza come il blu o il rosa diventi il guastafeste, imbratti d’inchiostro un momento che aspettavano da una vita in funzione di cosa? Una ramanzina su come rosa e blu non c’entrano niente con maschio o femmina, l’identità di genere è svincolata dal sesso assegnato alla nascita e il genere è un costrutto sociale. Va bene, bravo hai studiato. E adesso?
Aprire questo capitolo lascia sempre la sensazione di una gara a chi ci è arrivato prima e chi ancora no, come se decomporre le fondamenta di un sistema millenario sia un lavoro dall’oggi al domani.
Non vorrei far vergognare i miei famigliari dei propri retaggi: la parte più difficile del far sapere alle persone che c’è qualcosa di retrogrado nel gender reveal, è che sono sempre troppo felici di festeggiarlo.
Se ti opponi stai sottraendo loro tutto il potere e il controllo dell’eteronormativa: e cosa succede quando non hai più potere e controllo? I gender reveal confermano che il resto del mondo continua ad applicare davanti ai miei occhi, inconsapevolmente o meno, le stesse regole che ogni giorno cerchiamo di infrangere per liberarci.
Qual è il punto d’incontro tra una parte di società che rifiuta di evolversi e una che sta ancora scontando sulla propria pelle i debiti di quei retaggi, con tutta la rabbia e la frustrazione del caso?
Incazzarsi come una belva non porta a nulla e tacere significa assecondare, ancora quindici anni dopo, lo stesso sistema che ci ha oppresso.
Ma se fuori dalla bolla le persone non sono ancora pronte per questa conversazione, se i binari sono così rigidi da non poter essere sorpassati, forse tu e la tua presenza siete l’unica possibilità che hanno.
Forse l’unica cosa che puoi fare adesso che l’hai capito, è prendere tutta l’energia di una comunità ai loro occhi ancora invisibile, e irradiare la stanza.
Porta un regalo rosa al bambino, e uno azzurro alla bambina.
Regala un libro di fiabe dove i principi diventano principesse.
Scrivi sul biglietto d’auguri le parole di una poetessa trans.
Un quaderno da colorare sul mondo drag.
Non chiamarlo maschio o femmina, chiamala creatura, che non appartiene a nessun genere o colore.
Porta l’attenzione su altro, poni domande nuove, apri la possibilità di uno scenario alternativo.
Ricordare che esistiamo, instaurando in loro il sacrosanto beneficio del dubbio.
Apri un reparto che avresti voluto vedere vent’anni prima.
Tornando alle parole di Alok Vaid Menon: “sì te stessǝ finché non li farai sentire a disagio”.
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Oh mamma, come siamo ridotti... il "gender reveal" considera che cosa c'è tra le gambe dell'infante. Un pisello - > uomo, una vigina -> donna. La biologia è questa. Poi che suddetto infante si sentirà attratto dagli uomini, dalle donne, dai trans o da altri non importa. O che non si trovi in quel corpo, lo dirà il futuro. Ma questa è un'altra storia. E lo dico da MtF trans.