Alessandro Michele ha lasciato Gucci perché non riusciva a sopportare la pressione delle richieste di crescita da parte della proprietà del marchio. Sotto il regno della sua folle e anarchica direzione creativa, Gucci aveva triplicato in pochi anni il suo fatturato ed era uscito dall’irrilevanza, per diventare il brand più amato e copiato del pianeta. Ma i grandi burattinaia della finanza non perdonano. L’obiettivo della corporation Kering, proprietaria del marchio, era e resta di portare il fatturato di Gucci da 10 a 15 miliardi.
Da poco più di un anno a questa parte Alessandro Michele era stato relegato nella sua cricca di mattacchioni dell’ufficio stile, a disegnare e inventare la collezione di sfilata, separatamente dalla collezione di vendita. Insomma, su capi e accessori che finiscono nei negozi, e che le persone indossano in giro per il globo, Michele aveva sempre meno potere.
Negli ultimi tempi ormai, il dipartimento del merchandising di Gucci produceva una collezione a parte, quella sì destinata ad andare in produzione, perché studiata sulla base dei tabulati di vendita e delle grandi griglie del marketing, ormai prigioni nelle quali la creatività e la capacità di osare dei direttori creativi viene man mano condotta ad una penosa morte di stenti.
Da Gucci, ultimamente, gli input creativi di Michele restavano sempre più relegati alla sola sfilata. E nonostante, a volte, Alessandro si impuntasse, cercando di spingere alcune sue creature fino alle soglie della vendita nei negozi – spesso registrando grandi successi che i grandi geni del merchandising e del marketing non avevano previsto – il nuovo regime imposto dalla multinazionale Kering ha chiuso un sempre più stringente isolamento intorno al mondo onirico tessuto dai pensieri laterali di Alessandro Michele.
Persino nelle campagne pubblicitarie, la decadenza insurrezionale di Alessandro si era ormai sopita, addormentata dalle imposizioni del dipartimento di comunicazione che già due anni fa Kering aveva normalizzato, per lasciare spazio a campagne pubblicitarie più commerciali, perfettamente incorniciate nei grandi display degli aeroporti, lontane anni luce dall’approccio decadente e surreale che avevano incendiato l’hype del Gucci by Michele.
A Michele e al suo team creativo, non era rimasto che il gesto di portare in passerella un mondo che continuava a far sognare e a mantenere eccitante la narrazione del marchio. Così, mentre alle sfilate si continuava ad assistere ai deliri di un genio prestato alla moda, il tratto di Michele su capi e accessori Gucci, indossati dalle persone in giro per il globo, iniziava a conformarsi alle regole del fatturato.
Come il folle, dissoluto e anarchico Re adolescente Eliogabalo, Alessandro è stato man mano estromesso dal potere del regno che aveva egli stesso illuminato con una candela, un regno glorioso e decadente, ambito dai consumatori di tutto il mondo, ma che cresceva a un ritmo troppo basso, soltanto il 9% annuo. Per la multinazionale Kering la soglia minima era il 10%.
Da Gucci, Alessandro lavorava come un alchimista. Quando lə ragazzə dell’ufficio stile, un nugolo di mattacchioni provenienti da tutto il mondo, nel quale Michele aveva mescolato figure storiche della maison a spiriti creativi under 30, reclutati da scuole o prelevati direttamente dalle loro camerette, lo incontravano per la periodica review, intorno a Michele si costituiva come una piazza affollata di umani e merci. I team presentavano ricerche e prodotti vintage trovati in giro per il mondo. Alessandro li sceglieva e iniziava a mescolarli e a trasformarli. Dalla spontaneità di quel metodo, le collezioni maturavano di stagione in stagione, verso un processo che diventava sempre più preciso nella definizione di un immaginario che ha sconvolto e cambiato la moda di questi anni. (continua ↓)
Il lascito di Alessandro è principalmente quello di essere riuscito ad anteporre la visione individuale a quella dell’inseguimento conformato. Così Gucci è diventato da brand follower a leader assoluto. Michele ha attinto alla propria indole anarchica, ha fatto emergere i propri sogni e incubi dai bauli di famiglia, ha messo a nudo nevrosi e slanci della propria intimità, ha scarnificato la propria biografia come soltanto un grande autore sa fare. Ne è defluito un racconto di acque nere e acque cristalline tremendamente agitate tra loro, un gioco di luci e ombre mai dome, stagni dai quali emergono senza pudore le fattezze strambe delle infinite diversità individuali, capaci di ritagliarsi addosso l’unicità che il conformismo dei vestiti prodotti in serie non saprebbe mai raccontare, senza un tessitore di trame capace di intrecciare lane e vissuti.
Ecco il ridicolo e il grottesco che rosicchiano le muffe di ogni stereotipo di genere, ecco la frantumazione del confine binario, ecco le creature non conformi umane e sub-umane, ecco il doppio ego, ecco l’Italia dei cantastorie anarchici, ecco i merletti sulle sneaker, gli scialle della nonna avvolti ai look disco-ball, ecco gli spiriti sessantottini delle comuni marciare al grido della copia della copia delle idee, ecco la rimescolanza come contatto con il principio organico che tutto governa. Ecco le orge di noi, anime ustionate dall’infinito presente, alla deriva nel temporaneo, pronte a gridare in faccia al passato e al futuro: “io esisto”.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.