L’assenza dei soggetti nonbinary dai media italiani

Dove sono queste figure che non scendono a patti col binarismo nei vecchi media?

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nonbinary genere non binario mattia carraro tobias dionisi
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C’è stato come un prima e un dopo la discussione sul Ddl Zan. Sì, è vero, esisteva già una narrazione sulle persone nonbinary, sulle persone transgender, sull’identità di genere, ma era una narrazione quasi interna alla comunità. Era una narrazione giovane, che non trovava spiragli nei pixel delle televisioni, ancora rimaste a un racconto da tubo catodico. Poi, l’illuminazione, l’arrivo di un estraneo da chissà dove a mettere in discussione ciò che mettere in discussione non si può più: il binarismo di genere.

Non nascondiamoci, anche nella comunità le persone trans venivano comunque discriminate. C’è stato un periodo molto lungo nel quale le battaglie si facevano insieme ma c’era chi contava di più, i gay e i matrimoni, i gay e le adozioni, i gay e le unioni civili. Sull’identità di genere? Il vuoto. Poi si è come sentito un bisogno, spinto anche dalle madri dei ragazzi che provavano quella che un tempo veniva definita “disforia di genere” e che oggi chiamiamo “affermazione di genere”: non volevano più i loro figli discriminati. Un moto di persone che si è sentito distrutto da parole come “ideologia di genere”, “binarismo sessuale”, “esistono solo uomini e donne”. La cancellazione culturale di un terzo genere è un dato di fatto. L’intersessualità? Era l’ermafroditismo del racconto epico.

La certezza che anche nelle vecchie generazioni qualcuno potesse comprendere queste nuove soggettività, che sono nuove solo perché la memoria collettiva le ha cancellate. Porpora Marcasciano, una delle più importanti figure del movimento Lgbt, non ha mai permesso che venisse chiamata donna o uomo. Lei è una persona trans, un genere a sé. Perché sempre dobbiamo essere ricondotti all’uno o all’altro? Un limite culturale, un “discorso” di un certo “dominio” direbbero i filosofi, da Foucault a Judith Butler. Un discorso “medicalizzante”, che in passato ha costruito la varianza di genere come patologia, fino al concetto di “disforia di genere”. Oggi, per fuoriuscire dal mondo medico e della patologia, si parla di “affermazione di genere”, un concetto più inclusivo, anche nei confronti di coloro che non vogliono transitare nel binarismo, ma che cercano affermazione nell’identità di genere percepita.

 

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Il registro di genere a Milano e in altre città – LEGGI >

La televisione e il genere non binario

Eppure, dove sono queste figure che non scendono a patti col binarismo nei vecchi media? La televisione non ne parla. Abbiamo immagini di persone trans*, sì, ma solo transessuali o transgender nel senso più stretto del termine. Comunque, persone trans che si considerano appartenenti a un genere: maschio o femmina, uomo o donna.

Nei talk la presenza non è più solo una. Se un tempo a parlare di esperienza transgender era solamente Vladimir Luxuria, oggi abbiamo anche Carly Tommasini. Le altre apparizioni sono proprio letterali: un baleno, quasi impossibile accorgersi che ci sono passate davanti. E così si perdono, come i loro nomi, in fondo al cervello, là dove si mescola tutto e qualche volta si buttano le cose superflue.

È vero, sono stati condotti programmi con buone intenzioni e mediocri restituzioni, ma niente di più. Rai 3 ne è l’esempio lampante con il programma di Sabrina Ferilli, Storie del Genere, andato in onda qualche anno fa. Sulla stessa rete appare una donna, è Vittoria Schisano, che, in Un posto al Sole, interpreta una donna transgender che nel passato ha avuto una figlia. Il rapporto genitore-figlio è stato ben rappresentato, lei è stata acclamata. Serena Bortone l’ha invitata ad Oggi è un altro giorno su Rai 1 e lì si è capito quanto le buone intenzioni non sempre portano al miglior risultato. Un esempio di televisione impreparata al cambiamento e alla diversità.

Una sequela di immagini di persone trans che passano da un corpo a un altro corpo. Quello precedente? Era quello sbagliato. Una narrazione forse già vecchia, perché oggi in tanti, invece, quel corpo lo reclamano: era il primo step di un percorso. E poi ci sono coloro che si sono sentiti costretti a cambiare il proprio corpo, forse con troppa irruenza, come Fumettibrutti. Un’altra presenza rilevante nel panorama mediale, ma non in quello mainstream.

Fa paura, in prime time, invitare una persona transgender? 

Siamo nel 2021 e a Uomini e Donne compare il primo e unico trono transgender. Gli anni precedenti avevano visto due troni gay, poi la scomparsa. Ma il trono transgender sembrava malriuscito dal principio. Perché non riproporli? Forse non funzionavano, o forse la televisione non sa raccontarli. Un dato è chiaro: l’unico trono transgender è affidato a una donna trans che vuole solo ed esclusivamente farsi chiamare donna, perché ora è donna, al 100%. Anche Maria De Filippi l’accoglie come donna e lo ribadisce durante le puntate. 

Fuori dai concetti di uomo e donna, ma soprattutto donna, non c’è spazio in televisione. Quale uomo transgender si conosce in televisione? Nessuno. Qualcuno può aver notato Francesco Cicconetti, ma non proprio per apparizioni televisive. Il suo mondo è il social, unica possibilità? Il videoclip dei Pinguini Tattici Nucleari.

Ma dove sono finiti tutti i ragazzi nonbinary, genderfluid, agender di cui si sente tanto parlare, soprattutto in quelle trasmissioni e su quei giornali che parlano ogni giorno di “dottrina gender”? Unico esempio: Madame. Per cosa? Le sue apparizioni a Sanremo: altrimenti la scena giovanile e giovane scompare dai palchi della tv. E anche la sua definizione di genderfluid sembra essere parte del passato. Oggi difficile sentirlo ripetere. Madame, quindi, è donna, ormai sempre, almeno per la televisione. Altri esempi? Non pervenuti. Mentre sul web sono sempre di più i ragazzi che decidono di prendere la parola, dire che forse anche loro sperimentano varianza di genere. Lo fanno anche gli adulti, lo fa anche Cathy La Torre, che ha raccontato di essersi sottoposta alla mastectomia perché era questo il corpo che desiderava. 

Nei centri specializzati per l’adeguamento tra identità psichica e fisica i ragazzi che chiedono aiuto per comprendere la propria varianza di genere sono aumentati esponenzialmente. Non importa quanti di loro continueranno il percorso. Una cosa è certa: sono tanti, ma pochi quelli che in televisione ne parlano.

 

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Non solo transizione, ma anche affermazione di genere – Intervista alla Dott. Alessandra Daphne Fisher

Il podcast Corpi Liberi

Lo spettro qual è? Perché questo timore? Sarà mica l’ideologia gender? Sarà che non si sa raccontarli, che questi ragazzi non si capiscono? Da qualche parte se ne parla. I termini sono spesso quelli del timore, dell’incomprensione. Anche i quotidiani così detti alleati talvolta non aiutano e cadono nei cliché. Talvolta, invece, la passione nel narrare le storie, quelle vere, è forte. A volte, a farlo sono i genitori, che riescono a parlare ad altri genitori. È la storia di “Corpi liberi”, il Podcast di Silvia Ranfagni. Il racconto di su* figli* nonbinary e della difficoltà nel capire, ma anche la volontà del comprendere. È il racconto della verità, con l’aiuto di chi davvero può narrare fino in fondo: la dottoressa Mosconi dell’Ospedale San Camillo di Roma e i ragazzi che questo percorso lo stanno vivendo in prima persona.

Prisma

Qualche presenza si nota anche nella serialità. È accaduto pochi giorni fa nella serie tv di Canale 5 “Luce dei tuoi occhi” dove una ragazza trans fa coming out (VIDEO). È una prima volta nella generalista, ma anche stavolta la certezza: è una ragazza trans, che sa già di voler diventare donna. È veramente interessante notare che, invece, l’unica scelta di raccontare una persona con varianza di genere, che ancora non sa bene chi è, sia stata affidata a Prime Video con Prisma. Una serie tv rivoluzionaria per l’Italia, dove non si costruiscono paletti, ma tutto è molto fluido, come le esistenze. (Daniele, e le infinite sfumature di un coming out)

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Tobias Dionisi il mio coming out di persona non binaria nella moda – Intervista >

I social e le persone nonbinary

Unico luogo-rifugio? Quello più esposto alle difficoltà e alle critiche. Sono i social network, che fanno il bello e il cattivo tempo, ma dove è possibile raccontare il proprio percorso, trovare una comunità che ti solleva, dove puoi trovare modelli ed essere tu, a tua volta, per gli altri. Ma può anche essere una gabbia dei leoni dove gli attacchi personali diventano quotidianità. In particolare, per coloro che vivono la periferia, dove anche i giovani hanno un atteggiamento transfobico, creato dal contesto. Dove, a dare man forte, spesso sono gli adulti dell’età dei loro genitori o nonni. 

Per questi motivi, sensibilizzare ed educare, raccontare e far conoscere, la presenza sui media tradizionali è rilevante. E lo sarebbe in prima serata, nei programmi del giorno, che sono quelli più visti dagli anziani. Impensabile in precedenza, forse, con altri governi, oggi con quello Meloni sembra ancora più complesso. Non parlare di soggetti nonbinary, di persone genderfluid, di ragazzi con varianza di genere è una ferita che la società fa a sé stessa. E se anche l’Intelligenza Artificiale riconosce i volti in termini binari, il futuro può essere complesso per chi il binarismo lo vorrebbe abrogare. 

Lorenzo Ottanelli

 

 

in copertina immagine editata da Gay.it: da sinistra Tobias Dionisi e Mattia Carraro (foto: Prisma Serie tv Amazon Prime)

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