24 anni fa, era il 1999, un giovanissimo M. Night Shyamalan sbalordiva il mondo con Il Sesto Senso. Botteghino sbancato, incassi stellari, paragoni impegnativi (“Il nuovo Steven Spielberg”) e nomination agli Oscar a pioggia. Poi la carriera del regista indiano è più volte inciampata rischiando pesantemente di capitolare, fino a quando non ha ritrovato la retta via grazie a The Visit e a Jason Blum che gli ha dato fiducia. L’horror low budget parrebbe essere fatto per le corde di Shyamalan, che ora torna al cinema con l’adattamento di “La casa alla fine del mondo“, romanzo di Paul G. Tremblay edito in Italia da Mondadori.
Protagonista una famiglia arcobaleno.
Eric, Andrew e la loro adorata bambina di sette anni, Wen, stanno trascorrendo una vacanza in un cottage isolato in mezzo ai boschi del New Hampshire, sulla riva di un lago, senza Internet e cellulari. Volevano staccare da tutto e tutti, in questo angolo di paradiso in cui regnano silenzio e serenità. Fino a quando dal bosco non emergono quattro sconosciuti. Leonard, un uomo gigantesco dai modi gentili e il sorriso caloroso, e i suoi tre compagni brandiscono armi inquietanti e spaventose. I quattro si presentano ad Eric, Andrew e Wen che mai li avevano visti prima, per dar loro un messaggio ancora più inquietante. La dolce famigliola dovrà infatti fare una scelta impossibile. In poco più di 24 ore, e in un crescendo di presagi apocalittici, paranoia, follia, orrore e rituali di sangue, quella piccola meravigliosa casa alla fine del mondo diventerà il cuore dell’universo, il luogo in cui si deciderà il destino di una famiglia e, forse, di tutta l’umanità.
È un’opera perfettamente shyamaliana, Bussano alla Porta, girato in spazi angusti senza mai cedere il passo alla tensione, che non molla mai la presa sullo spettatore. Ex wrestler, Dave Bautista è sorprendente bravo nell’interpretare un gigante buono costretto a compiere azioni terribili, tanto dolce e tranquillizzante quanto inquietante e necessariamente violento, mentre Jonathan e Ben Aldridge sono straordinariamente credibili nel dare vita a questa coppia che si ama alla follia, che si è cercata, trovata, legata, mettendo su famiglia grazie alla piccola Wen, figlia adorata per la quale sarebbero disposti a tutto.
L’alchimia tra i due attori è perfettamente verosimile e bilanciata, al centro di una storia di coppia segnata dall’omofobia, da un’aggressione in un bar che ha travolto entrambi, lasciando ferite indelebili, difficili da rimarginare. Il perché i 4 sconosciuti abbiano bussato alla porta di questa famiglia a loro sconosciuta è da scovare proprio nel profondo amore che l’attraversa. Un sentimento puro, purissimo, chiamato ora a dover compiere una scelta tremenda, per salvare il mondo. Letteralmente.
Violento e apocalittico, il nuovo film di Shyamalan alimenta dubbi al cospetto di una verità che appare assurda, impossibile, seminando con sapienza plausibili perplessità che aiutano la narrazione a suscitare curiosità nei confronti di un finale che purtroppo, come troppo spesso accaduto in passato con i film del regista indiano, cede un po’ troppo rapidamente e facilmente alla banalità, ad uno pseudo lieto fine di discutibile fattura.
La scelta di una famiglia arcobaleno al centro della storia non è certamente casuale, perché dinanzi all’odio del mondo ancora oggi drammaticamente concreto e alle difficoltà vissute da qualsivoglia coppia LGBTQ* desiderosa di genitorialità, il sentimento di due uomini che si amano è sinonimo di profondità, di continue lotte quotidiane, di orgoglio e resistenza. Un amore assoluto da cui ripartire per lavare i peccati del mondo, con due uomini gay con figlia chiamati a dover fermare le piaghe dell’apocalisse cristiana, abbattendo secoli di narrazione eteronormativa e di omofobia istituzionale. Non un uomo e una donna con figli nel più tradizionale Mulino Bianco, bensì due omosessuali che hanno dovuto sopportare la discriminazione sulla propria pelle, senza mai rinunciare all’amore dell’altro.
Al fianco di un Bautista mai tanto sfaccettato e convincente il come sempre bravo Groff e un inatteso Aldridge ai più sconosciuto ma in questi abiti a dir poco perfetto, oltre a Nikki Amuka-Bird, Kristen Cui, Abby Quinn e Rupert Grint, storico volto di Harry Potter già diretto da Shyamalan nella serie Apple Tv+ Servant, in un film che vira verso il biblico cavalcando l’apocalittico con schizzi di sentimento queer.
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