La spiaggia di Capocotta è una zona di litorale romano compresa tra Castel Porziano e Torvaianica, estesa per 45 ettari, dal 1996 parte della riserva naturale statale Litorale Romano e da decenni punto di ritrovo per la comunità LGBTQIA+ capitolina e nazionale. Capocotta è la spiaggia libera di Roma, con stabilimenti queer e nudisti, che ora rischia la chiusura definitiva per tutti i suoi celebri chioschi. Ieri pomeriggio si è tenuta in Campidoglio una manifestazione di protesta al grido “Salviamo Capocotta“.
Questo perché seppur Polizia locale e Guardia Costiera non hanno rilasciato verbali o notifiche formali ai titolari dei cinque chioschi di Capocotta (Mecs Village, Porto di Enea, Oasi naturista, Mediterranea e Dar Zagaja), gli agenti hanno comunicato loro che dovranno svuotare i frigoriferi e portare via le attrezzature perché nella prossima settimana scatteranno le chiusure. A dichiararlo proprio i gestori dei chioschi che dal 1998 conducono per conto del Comune di Roma le strutture rimaste senza titolo autorizzativo.
“Colpa del Campidoglio che non ha mai fatto un bando di evidenza pubblica per affidare la gestione delle strutture che, ricordiamo, vengono condotte dietro l’impegno dei ristoratori di assicurare il servizio di salvataggio, la pulizia dell’arenile, la manutenzione dei servizi igienici e la custodia delle dune dai rischi di vandalismo ambientale”, hanno proseguito gli organizzatori della manifestazione.
Anche Legambiente Lazio si è schierata al fianco dei chioschi, perché la loro chiusura “vorrebbe dire eliminare la gestione della spiaggia ma anche e soprattutto l’unico presidio di tutela della biodiversità, esponendo all’incuria totale la porzione più pregiata del litorale romano”.
“Il Comune, invece di chiudere, dovrebbe pubblicare un nuovo bando di gestione che si aspetta da anni, garantendo contemporaneamente la continuità operativa, indispensabile per proteggere la spiaggia e le dune“, hanno proseguito da Legambiente. “Capocotta ha un modello di gestione che invece andrebbe esportato come virtuoso, con il quale la Capitale si può fregiare di una grande porzione di litorale accessibile alla libera fruizione: senza quel Lungomuro che a Ostia non permette il raggiungimento e la vista stessa del mare; senza distruzione della fascia dunale provocata dal parcheggio selvaggio fino alla spiaggia come nella vicina Castel Porziano”.
“La spiaggia di Capocotta affonda le sue radici nella storia della cultura delle diversità: dalle scene Felliniane degli anni ‘70 ad oggi quella spiaggia non è solo la passerella delle icone della nostra comunità che ogni estate sfilano con fierezza sotto il sole cocente, ma un vero e proprio luogo politico. Prima rivendicato dalle minoranze che non avevano un posto in cui stare, poi ottenuto e oggi nuovamente messo in discussione“, ha aggiunto Asia Cione del TdoV di Roma. “Perdere dei servizi su quella porzione di litorale non significa solo perdere la possibilità di comprare una bottiglietta d’acqua o usare un bagno. È il luogo dove celebriamo i nostri compleanni, dove ci incontriamo e accogliamo persone della nostra comunità, dove generiamo i nostri ricordi e dove ci sentiamo al sicuro”.
Nel corso dei decenni Capocotta è stata anche set a cielo aperto.
Alcune scene de La Dolce Vita vennero girate tra le celebre dune, mentre nel 2008 Stefano Tummolini realizzò proprio a Capocotta il suo Un altro Pianeta, Nastro d’argento come miglior regista esordiente ma soprattutto Queer Lion a Venezia. Anche in Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek si parla di Capocotta come luogo di ritrovo per la comunità gay capitolina, che ora chiede garanzie al Campidoglio affinché un pezzo di storia e di libertà non venga cancellato.
Una petizione ha già raggiunto le 2500 firme. Dal Campidoglio si sono impegnati a risolvere la questione nel più breve tempo possibile. Anche perché l’estate è alle porte.