Ad inaugurare la 38° edizione del Lovers Film Festival di Torino, il più antico festival italiano sui temi LGBTQI+ diretto da Vladimir Luxuria e fondato da Giovanni Minerba e Ottavio Mai, è stato una piccola delizia di film, costato appena 20.000 dollari, girato in 16 giorni tra New York e Provincetown, con un bianco e nero volutamente alleniano a dare ancor più eleganza ad una storia d’amicizia queer.
Protagonista è Judy, ragazzo over 30 che si barcamena tra un lavoretto e l’altro con un’unica ambizione. Esplodere come drag queen. Judy è tanto, forse ‘troppo’, agli occhi di molti, perché volutamente e costantemente sopra le righe. Insieme a Chrissy, suo miglior amico, forma un duo drag che ambisce alla popolarità. Nell’attesa si esibiscono in localetti mezzi vuoti dove raccolgono paghe da fame e misere mance. Chrissy e Judy si sono ripromessi che se mai dovessero arrivare ai 40 ancora single si sposeranno, in amicizia, perché inseparabili. Ma dal passato sentimentale di Chrissy rispunta un ex, che lo convince a lasciare New York per Philadelphia. Judy si ritrova così da solo, improvvisamente, al cospetto di un’esistenza da vivere alla giornata, tra difficoltà d’affitto, professionali e sentimentali.
Dark comedy ironica dal taglio malinconico, Chrissy Judy è sicuramente un miracolo produttivo, perché costato niente. Todd Flaherty, ospite del Lovers di Torino, l’ha scritto, diretto, interpretato e montato. Ed è riuscito a fare tutto questo splendidamente, interpretando magnificamente gli abiti di una bellissima drag che canta canzoni degli anni ’50, che non ha timore di mostrarsi per quello che è, sempre, che non ha paura della solitudine, di una visiona monogoma del rapporto di coppia che non sente sua, di una ricerca ossessiva dell’amore che rischierebbe di tramutarsi in gabbia, perché non del tutto veritiera.
Todd Flaherty ha scritto un film che prende di petto con ironia le complicate interazioni all’interno della stessa comunità gay, abbracciando difficoltà e successi che gli omosessuali d’America affrontano nella loro “disperata” ricerca dell’amore, dell’accettazione, del romanticismo e dell’identità. Ambientato tra Manhattan e Fire Island, Chrissy Judy è un film privo di gratuiti sentimentalismi eppure dal cuore traboccante, con protagonista un giovane adulto in crisi d’identità, alla ricerca di se stesso e del proprio ruolo nel mondo, costretto af affrontare l’incertezza del futuro che è ormai alle porte, con i sogni a lungo cullati che chiedono riscatto o abbandono immediato.
Onesto, diverso da tanti altri titoli queer e divertente, Chrissy Judy è un film piccolissimo, a micro-budget, eppure così ambizioso nel guardare ad opere di un’altra era, a quelle commedie romantiche dimenticate nel tempo, con Todd Flaherty suo incredibile mattatore. La sua Judy ipnotizza per bellezza e sensualità, con l’alter-ego maschile così sicuro di sè e al tempo stesso fragile, barca alla deriva in un mare di ipocrisia che superata una certa età tende ad inondarti, lasciandoti senza fiato, quasi costringendosi ad aggrapparti a qualsivoglia galleggiante onde evitare di affondare nella solitudine estrema.
Come regista Flaherty si dimostra sicuro e ispirato, come sceneggiatore appare autentico e sfrontato, come attore è semplicemente sublime. Ci sono alcuni momenti, squarci di film, in cui Chrissy Judy graffia l’animo dello spettatore, perché così onesto e brutale nel mostrare situazioni spesso dimenticate dalla cinematografia queer contemporanea. Perché Judy sfugge all’amore, pur accarezzando spesso l’idea di poterla un giorno incontrare, culla un sogno che anno dopo anno diventa sempre più improbabile, non cede mai a compromessi, impara a convinvere con una solitudine che con il tempo è diventata ingombrante compagna di viaggio. E se domani è sempre un altro giorno, come Rossella O’Hara ha insegnato al mondo, il domani di Judy è una pagina bianca ancora da scrivere. Costantemente e faticosamente. Ma sempre a testa alta.
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