Si è conclusa da poche ore la prima edizione di Drag Race Italia. Dopo molti anni, lo storico format americano è giunto anche in Italia grazie a Discovery e Ballandi (avevamo intervistato il direttore dei contenuti e responsabile del format Dimitri Cocciuti qui >). Una buona occasione, ora che è nota anche la vincitrice, per riflettere sull’impatto che questo show ha avuto e ha sul costume. Oltre quanto si voglia mediamente ammettere.
La storia non è una somma, il risultato di eventi collegati tra loro. La storia è la risposta a una richiesta che sfugge allo sguardo di chi ha fatto il suo tempo e, per pigrizia, non si prende in carico quello degli altri.
La storia, nell’ultimo decennio, l’ha fatta “RuPaul’s Drag Race”, il talent di drag queen che ha creato un prima e un dopo, dentro e fuori la tv. Senza “RuPaul’s Drag Race” non esisterebbe “Tale e Quale Show”. Lo show di Rai1 basato su una gara tra personaggi famosi chiamati a reinterpretare cantanti celebri debutta in Spagna nel 2011, 2 anni dopo l’esordio di “RuPaul’s Drag Race”. Il talent più truccato del mondo ha poi ispirato “Lip Sync Battle” (Stati Uniti, 2015) e “The Masked Singer” (Corea del Sud, 2015).
La rivoluzione registrata nello showbiz è una delle conseguenze del cambiamento sociale innescato da “RuPaul’s Drag Race”.
Il programma, fin dalla sua primisssima edizione statunitense, parla alle persone alle prese con la propria pubertà, individui che sono incastratati in uno degli interstizi più complicati di ogni esistenza terrena.
Si cresce – sostiene Piperno (Premio Strega nel 2012 con “Inseparabili”) – quando si smette di essere qualcosa e si inizia a essere qualcuno. Questa consapevolezza, in taluni casi, conduce a coming out. In altri, invece, fa iniziare la scalata più impervia di sempre.
Diventare grandi non è mai stato semplice. Negli ultimi anni, però, questa trasformazione si è decisamente complicata.
Da almeno un decennio gli adulti che hanno avuto un’adolescenza complicata hanno iniziato a vedere nei ragazzi dei clienti a cui vendere il traguardo che hanno raggiunto poi, a pubertà conclusa. Da troppo tempo ormai si pensa che la “normalizzazione” sia l’unico ponte capace di collegare l’adolescenza all’età adulta.
Con i ragazzi si parla, per lo più, del loro presente, di ciò che sono oggi. Gli si ripete che la rivoluzione più importante è quella che coincide con il raggiungimento di una surrogata pace di sensi. Raramente si chiede agli adolescenti come si immaginano il loro altrove, cosa vedono nel loro domani. Questa richiesta inevasa esplode quando meno ce lo si aspetta e prende il corpo, per esempio, di Greta Thunberg e di coloro che – Covid19 permettendo – danno vita ai Fridays for Future.
A questa generazione di sognatori – nonostante tutto – parla “RuPaul’s Drag Race”.
Nelle mise en place delle aspiranti Miss en travesti i ragazzi ci vedono la possibilità di dare al proprio futuro la forma che meglio credono.
Ogni generazione sublima i propri sogni in un qualcosa o in un qualcuno. Senza questo scatto, la Barbie non avrebbe avuto il successo che ancora oggi persiste. La Barbie e le sue sorelle da decenni, ormai, permettono alle bambine e ai bambini di capire – attraverso il gioco – cosa è meglio per loro durante la crescita.
Qualcosa di analogo, dal 2011, lo fanno RuPaul e le sue figlie. In ogni serie del talent ricordano agli adolescenti – a quelli che lo sono all’anagrafe e a quelli che lo sono nel cuore – che non è mai troppo tardi per trasformarsi in ciò che si desidera.
Questo promemoria glitterato ha saputo rispondere a un’urgenza e fare, di conseguenza, la storia.
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