Franco Zeffirelli Conformista Ribelle, recensione: Gay, cattolico e di destra, agiografia vittimistica di un artista

Prodotto dalla compagna di Matteo Salvini, il documentario beatifica il regista chiedendosi come mai sia stato tanto amato all'estero quanto snobbato in patria.

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Deceduto nell’estate del 2019, Franco Zeffirelli riprende vita alla 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia grazie ad Anselma Dell’Olio, sceneggiatrice e regista di un agiografico documentario prodotto da Francesca Verdini, figlia di Denis nonché compagna di Matteo Salvini. Franco Zeffirelli, conformista ribelle celebra il regista, sceneggiatore, scenografo e politico italiano, amato e celebrato più all’estero che in patria con due Emmy vinti, un Bafta e due nomination agli Oscar.

Il documentario racconta i punti di svolta di una brillante e movimentata carriera internazionale, partendo dalle sue origini come figlio nato al di fuori del matrimonio al diventare regista, art director, pittore, ideatore di cinema, teatro e opera lirica. Attraverso interviste originali e d’epoca con alcune star con cui Zeffirelli ha lavorato, familiari, amici e collaboratori più stretti, il doc firmato Anselma Dell’Olio prova a rendere giustizia alla persona e all’artista Zeffirelli, in tutte le sue multiformi e anche opposte sfaccettature, di un omosessuale cattolico convinto, di destra.

Dell’Olio parte dall’alluvione che devastò Firenze nel 1966, ripresa proprio da Zeffirelli, senza dimenticare i primi anni di vita, la divisa da partigiano indossata contro i fascisti, l’incontro fondamentale con Luchino Visconti, che divenne suo mentore, amico/nemico. Fu grazie a Visconti se Zeffirelli iniziò a lavorare nel mondo del cinema e del teatro, con il regista del Gattopardo ‘geloso’ di Franco, tra scazzottate fuori dalla Scala di Milano ed epocali sfuriate. L’incontro con Anna Magnani, che portò in giro per il mondo con La Lupa, il furibondo litigio con Nureyev a Portofino per un flirt condiviso, l’incarico inatteso all’Old Vic di Londra, dove ad un italiano venne dato il compito di modernizzare William Shakespeare, riuscendoci appieno, la celebrazione teatrale di Eduardo nel Regno Unito, l’incontro con Maria Callas, nel 1948, che Zeffirelli definisce senza mezzi termini un genio nonché “ignorante come una cornacchia“, donna “di poca cultura che faceva cultura“.

Se al Cinema Zeffirelli è stato tendenzialmente un conservatore, nel mondo del teatro è sempre stato considerato un innovatore, con scenografie mastodontiche e messinscèna sorprendenti, ricevendo elogi soprattutto nel mondo anglosassone. La critica italiana, denunciano amici e colleghi intervistati da Dell’Olio, l’ha sempre visto con scarso interesse perché uomo di destra, fieramente di destra, che preferì “la religione cattolica a quella comunista“. Nelle due ore di documentario si sommano elogi su elogi, in una sorta di beatificazione artistica in salsa vittimistica che dà assai poco spazio alle enormi contraddizioni di Zeffirelli, alle sue dichiarazioni divisive, per non dire allucinanti, che puntualmente alimentavano un vespaio di polemiche. Questa parte dura una decina di minuti, piccola parentesi all’interno di una santificazione artistica.

Favorevole alla pena di morte per le donne che osavano abortire, Zeffirelli era convinto che “l’uomo” avesse “sempre ragione”. Orgogliosamente ‘anti-comunista’, fece coming out nel 1997 dalle pagine di The Advocate, rivelando di aver avuto “esperienze gay“, come 3/4 degli uomini al mondo. Senatore della Repubblica dal 1994 al 2001 grazie a Forza Italia e a Silvio Berlusconi, Zeffirelli si definiva un “omosessuale virile”, un “gay maschio” dichiaratamente contrario al Pride, a suo dire “carnevalata” portata avanti da “scellerati, disgraziati”, perché “l’omosessualità” non sarebbe altro che una “seria disposizione dell’animo e dell’intelletto”, e non quella roba lì che invade le piazze ogni estate.

Nel doc si ricorda anche il grave  incidente d’auto con Gina Lollobrigida che nel 1969 costrinse Zeffirelli a dolorosi interventi al volto per ricostruire la mascella distrutta. Qui, dal letto d’ospedale, disse di aver visto San Francesco, promettendo di onorarlo nel caso in cui fosse sopravvissuto. 3 anni dopo tornò in sala con Fratello sole, sorella luna, lungometraggio dedicato proprio alla figura di Francesco d’Assisi, per poi chiudere la sua carriera cinematografica con due titoli quasi autobiografici. Un tè con Mussolini, trainato da un cast di dive di assoluta grandezza, e Callas Forever, criticato requiem nei confronti della leggendaria soprano.

Omosessualità e fede cattolica che collidono dolorosamente al cospetto dell’uomo e dell’artista Zeffirelli, all’interno di una carriera che avrebbe concesso pochi onori al regista solo e soltanto perché politicamente parlando contrario all’establishment culturale del Bel Paese tipicamente di sinistra. L’autocommiserazione che si fa apologia, in un doc tanto interessante nel ricostruire i successi (soprattutto teatrali) di Zeffirelli quanto respingente nel difendere qualunque progetto a suo tempo stroncato e/o giustificare qualsiasi nefandezza da lui pronunciata. Bisbetico indomabile, sarebbe stato probabilmente il primo a non amare simile difesa d’ufficio.

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