Heather Parisi ha risposto all’articolo da noi pubblicato nella giornata di ieri, in cui abbiamo dato spazio a tweet transfobici da lei ricondivisi. Cinguettii offensivi nei confronti di Rachel Levine, eletta sottosegretaria alla sanità da Joe Biden, e Lia Thomas, prima nuotatrice trans* di sempre a vincere la NCAA. Entrambe definite “uomini” dagli autori dei tweet e indirettamente dalla stessa showgirl americana, che nella sua lunga risposta ha giustamente rivendicato la sua vicinanza alla comunità LGBTQ. “Per la comunità gay di San Francisco io ero la loro “fag hag” la checca vecia, la “mamma” con cui condividere gioie e delusioni anche se ero solo una ragazzina“, ricorda Heather, che durante la propria carriera ha “sempre amato, frequentato e difeso il mondo LGBTTTQQIAA“.
Nessuno l’ha mai negato, signora Parisi. Anzi, proprio per questo motivo siamo caduti dalla sedia quando abbiamo visto i suoi like e i suoi retweet, proprio perché legati ad una donna che abbiamo sempre definito icona queer, in difesa della nostra meravigliosa comunità. Una comunità in cui le persone transgender sono sempre state le ultime tra gli ultimi, costrette in questo preciso momento storico a dover combattere una guerra politica e culturale tra le destre di tutto il mondo, che vorrebbero semplicemente cancellarle.
“Ho sempre pensato che la diversità non va annacquata, non va imposta e soprattutto non può prescindere dal rispetto reciproco”, scrive lei nella sua risposta odierna. Ma quale ‘rispetto’ può esserci all’interno di un dibattito in cui lei definisce “uomini” delle donne trans*?
“Secondo Federico Boni“, prosegue nella sua lettera, “io sono transfobica. La mia colpa? Criticare il fatto che un trangender abbia partecipato a una gara femminile di nuoto. Ammiro e rispetto il transgender nella sua peculiarità. Ma, allo stesso modo, ammiro e rispetto la donna nella sua peculiarità“. Sin dall’articolo maschile volutamente utilizzato continua a battere una strada che trasuda transfobia. Probabilmente inconsapevole, signora Parisi, ma pur sempre di transfobia si tratta. E attenzione, chi scrive l’ha sempre ballata, cantata, seguita con ammirazione. Sono cresciuto insieme a Disco Bambina e Crilù, capolavoro assoluto della discografia anni ’80, a voler rimarcare come non ci sia nulla di personale in questa critica che l’ha indirettamente legata alla sua “nemica amatissima” Lorella Cuccarini, da lei stessa definita “omofoba”. Etichetta che la signora Cuccarini ha sempre rifiutato, proprio come lei ora rifiuta di essere definita “transfobica”.
“È un rispetto che pretendo per gli altri e per me e mi oppongo a tutto ciò che lo calpesta. È questa transfobia?“, si è chiesta nella sua lettera. “È transfobia difendere l’unicità del genere femminile allo stesso modo in cui difendo l’unicità del genere transgender, o di qualsiasi altro gender?“. Molto banalmente, signora Parisi, è transfobia calpestare il diritto ad esistere e la dignità di milioni di persone in tutto il mondo. In quale modo lei starebbe “difendendo l’unicità del genere transgender“?. Riporto un suo passaggio, che racchiude probabilmente la definizione stessa di ‘transfobia’.
“Chiunque ha il diritto di decidere di considerarsi il genere che vuole, ma se hai un pene e partecipi a una gara di nuoto femminile, non diventi automaticamente donna perchè lo hai deciso tu”.
Come può non cogliere, da donna intelligente qual è, l’inaudita violenza di simili parole? Lia Thomas non è un uomo che sta gareggiando tra le donne. Lia Thomas è una donna di 22 anni. Ci sono delle regole specifiche, estremamente stringenti, che riguardano le atlete trans*. Secondo la National Collegiate Athletic Association (NCAA), Lia doveva rimanere in terapia ormonale per un anno, prima di poter entrare nella squadra femminile. E così ha fatto. Fino a pochi mesi fa il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) consentiva alle donne transgender di competere nella categoria femminile se il loro livello totale di testosterone fosse al di sotto di 10 nanomoli per litro per 12 mesi. I livelli di testosterone diminuiscono rapidamente in seguito al trattamento ormonale: recenti ricerche confermano che su 250 donne trans, il 95% ha un livello di testosterone inferiore a 2 nanomoli per litro, al pari di quello di una donna cisgender.
Dopo due anni passati a consultare più di 250 tra atleti ed esperti, il CIO ha ora stabilito una volta per tutte che è sbagliato presumere che le donne trans possano avere un vantaggio automatico rispetto alle donne cisgender, cancellando l’invasiva pratica di analizzare i livelli di testosterone, per decidere se un’atleta debba gareggiare tra le donne o gli uomini. Dopo approfondite ricerche, il livello di testosterone presente non è più considerato il fattore decisivo nel determinare se le donne trans debbano essere autorizzate a competere. Signora Parisi lei quali dati possiede per poter smontare e smentire il Comitato Olimpico Internazionale, che ha lavorato per anni sull’argomento con approfonditi studi?
Signora Parisi lei difende la propria posizione ricordando quanto detto da Caitlyn Jenner, non a caso donna transgender più odiata dalla comunità trans* d’America. Repubblicana, milionaria trumpiana pronta a rivotare il tycoon dopo 4 anni di transfobia istituzionale. Un cortocircuito più unico che raro che casomai ribadisce l’ovvio, ovvero che la comunità LGBTQ+ è straordinariamente ampia, variegata, colorata e spesso tutt’altro che allineata, perché siamo comunque esseri pensanti, diversi l’uno dall’altro, e non marionette che ripetono i medesimi slogan solo e soltanto perché queer.
“Mi sono sempre dichiarata, e lo riaffermo senza esitazione, contraria al fatto che i transgender possano partecipare ad eventi sportivi per ragioni di ovvia equità e sono egualmente contraria alla campagna di ipersensibilizzazione che viene attuata nelle scuole americane senza il coinvolgimento dei genitori, per spingere i bambini a cambiare sesso“, scrive nella sua lettera, cavalcando pedissequamente quanto da mesi dichiarano i repubblicani d’America. Dal 1 gennaio 2022 ad oggi oltre 200 leggi transfobiche hanno travolto i 50 Stati USA, con i casi di Texas e Florida diventati “nazionali”.
“Ma questo non fa di me una donna transfobica“, scrive lei. “Fa di me una donna libera da posizioni radicali e intransigenti“. Dichiarazione curiosa, che ricalca in qualche modo chi sostiene di non essere omofobo perché “ha tanti amici gay”, per poi essere contrario al matrimonio egualitario, al DDL Zan, alle adozioni per le coppie dello stesso sesso. Inconsapevolmente, probabilmente, lei sta vestendo quei medesimi abiti. Vede signora Parisi, non basta dirsi ad alta voce di non essere transfobici, c’è bisogno di dimostrarlo. Anche semplicemente a parole. Quelle transfobiche parole che lei ha oggi ribadito e quasi rivendicato con orgoglio, definendo ‘uomini’ delle donne trans*. E cosa sarebbe questa, se non transfobia?
“Ho sostenuto il mondo LGBTTTQQIAA quando era la parte più fragile della società. Oggi, grazie a Dio, non lo è più”, scrive nel finale. E qui si sbaglia, di nuovo. Perché la comunità transgender è in assoluto la parte più fragile della società odierna, grazie proprio a persone “radicali e intransigenti” come lei che mai come in questo specifico periodo storico alimentano disinformazione e odio nei confronti di persone che esistono nelle proprie identità, a prescindere dal fatto che siano nate con un pene o con una vagina.
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Putroppo, per quanto riguarda la signora Parisi, sta avvendo una vera e propria involuzione di pensiero che parte dal complottismo vario fino a spostarsi ad una certa area di pensiero di estrema destra del partito repubblicano americano. Notare i vari retweet della signora che son ben lontani dagli sfoggi di tollaranza universale nelle interviste di Fazio. Insomma la Parisi si è ammalata non di Covid ma di complottismo nella sua forma più becera: non quella che nega gli atteraggi lunari, ma quella che nega l’uso del cervello.
PS: atterraggi, sorry!