Lia Thomas: “Voglio mostrare ai bambini trans e agli atleti trans che non sono soli. Io sono una donna”

La nuotatrice 22enne ha così replicato a coloro che vorrebbero vietare alle persone trans* di praticare sport agonistico.

Perché la polemica sulle atlete trans non si regge in piedi
Lia Thomas ha ottenuto tre record scolastici e due vittorie nazionali nel giro di un mese.
3 min. di lettura

Perché la polemica sulle atlete trans non sta in piedi

Da mesi al centro di furenti polemiche, Lia Thomas, nuotatrice dell’Università della Pennsylvania che ha vinto gare su gare finendo nell’occhio del ciclone politico perchè 22enne donna trans*, ha replicato dalle pagine di Sports Illustrated a chi l’ha accusata di aver ‘alterato’ le gare femminili, essendo nata in un corpo maschile.

Bersagliata da Donald Trump e dalla destra repubblicana, che in 11 Stati ha redatto in pochi mesi leggi che vietato ai bambini trans* di gareggiare in qualsivoglia sport, Lia è diventata modello e simbolo per tutti quei bimbi MtoF e FtoM che vogliono continuare a praticare sport, anche a livello agonistico. “Voglio solo mostrare ai bambini trans e agli atleti trans più giovani che non sono soli. Non devono scegliere tra chi sono e lo sport che amano”, ha precisato la 22enne.

Questa stagione è la prima di Thomas nella squadra femminile dell’Università della Pennsylvania, dopo aver iniziato la terapia ormonale nel 2019. Prima di allora ha trascorso anni a combattere la disforia, rimandando il coming out pubblico e la transizione medica perché terrorizzata dal fatto che questo avrebbe scritto la parola fine alla sua carriera di nuotatrice. Alla fine Lia ha fatto coming out in famiglia, ricevendo conforto e vicinanza. Ma non poteva certamente continuare a nuotare nella squadra maschile. “Ero molto depressa. Sono arrivato al punto in cui non potevo più andare a scuola”, ha rivelato a Sports Illustrated.

“Mi mancavano le lezioni. Il mio sonno era molto incasinato. Certi giorni non riuscivo ad alzarmi dal letto. Sapevo che dovevo fare qualcosa per risolvere questo problema”. Thomas ha iniziato la terapia ormonale nel maggio del 2019, “sapendo e accettando che avrei potuto smettere di nuotare”. Ma rapidamente si è sentita “mentalmente più sana“, sollevata.

Secondo le regole della National Collegiate Athletic Association (NCAA), Thomas doveva rimanere in terapia ormonale per un anno, prima di poter entrare nella squadra femminile. E così ha fatto. In quei 12 mesi ha fatto coming out, prima con la squadra di nuoto maschile e a seguire con quella femminile, iniziando ad usare il suo nuovo nome. “In un certo senso, è stata una sorta di rinascita, per la prima volta nella mia vita, sentirmi completamente connessa al mio nome, alla mia persona, vivere chi sono”. “Io sono Lia.”

Ma quando Thomas ha iniziato a vincere gare su gare, sono arrivate critiche. Politiche e non solo, perché a storcere il naso sono state anche alcune compagne di squadra e della comunità universitaria. Nel dicembre 2021, i genitori della UPenn hanno inviato una lettera alla NCAA chiedendo che Lia fosse bandita dalle gare, nonostante rispettasse pienamente le regole NCAA. Anche alcune sue compagne hanno inviato una lettera ai funzionari della Ivy League, chiedendo la sua squalifica, mentre altre l’hanno pubblicamente sostenuta.

A costoro che l’hanno travolta con odio a buon mercato, Lia ha una risposta chiara e “semplice”.

“La risposta è che non sono un uomo. Sono una donna, quindi appartengo alla squadra femminile. Le persone trans meritano lo stesso rispetto che riceve ogni altro atleta”. “Mi sono sempre considerata solo una nuotatrice. È quello che ho fatto per così tanto tempo; è quello che amo… Vado in acqua ogni giorno e faccio del mio meglio”.

A breve Lia prenderà parte ai campionati di nuoto ad Atlanta, in Georgia, che inizieranno alla fine di questo mese. Ma guarda con soddisfazione anche al prossimo futuro. “Voglio nuotare e competere per quella che sono”, sognando le Olimpiadi di Parigi del 2024. Nel dubbio Thomas ha fatto domanda per entrare nella facoltà di giurisprudenza, valutando la possibilità di specializzarsi in diritto dei diritti civili, utilizzando la propria esperienza per difendere gli altri. Con una certezza granitica: “Non guardo alla negatività e all’odio”. “Sono qui per nuotare”. Tutto il resto è pura e semplice transfobia.

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arbo 4.3.22 - 17:20

Ma possibile che non si trovino risultati pre e post, suoi e di altre atlete transessuali, cosi' da aiutare la gente a farsi un'idea e formare un'opinione in merito? Perche' se ogni dubbio a proposito di ammettere donne transessuali negli eventi per donne con cromosomi XX viene etichettato come transfobia, che non c'entra niente, allora il dubbio che non abbia senso includere le prime e' ben fondato.

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