Il 25 Novembre è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. È una data ricorrente, istituita nel 1999 dall’Onu per commemorare le sorelle Mirabal, deportate, violentate, e uccise il 25 Novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana.
Sabato 26 Novembre si terrà a Roma, presso Piazza della Repubblica alle ore 14:00, il corteo nazionale contro la violenza maschile sulle donne e di genere, organizzata dal collettivo transfemminista Non Una di Meno.
Un punto di ritrovo che accomuna tutto il nostro paese e manda un segnale forte e chiaro su quali battaglie ci stiamo battendo quando parliamo di violenza di genere.
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Perché come tutte le tematiche più inflazionate il rischio è sempre quello di perdere di vista il focus: tra ‘le donne non si toccano neanche con un fiore’ o ‘gli schiaffi solo durante la pecorina’ anche una ricorrenza come questa rischia di perdersi dietro i luoghi comuni. Ma il 25 Novembre è l’occasione per fare il punto su chiunque risente quotidianamente dello sguardo, le imposizioni, e la brutalità del patriarcato, conforme o meno alle aspettative del sistema.
Come rileva l’Osservatorio Nazionale di Non Una di Meno, dall’inizio del 2022 sono stati registrati 82 femminicidi, 3 trans*cidi, e 6 suicidi (di cui 2 donne e 4 persone transgender). È proprio per questo che il discorso chiama in causa anche la comunità LGBTQIA+: le donne e le persone transgender sono ancora tra i gruppi più marginalizzati e presi di mira dal sistema etero-patriarcale, dimenticate e messe in discussione spesso dalla comunità, insieme alle donne lesbiche la cui voce è ancora silenziata in funzione della controparte maschile.
Quella che si combatte è una vera e propria guerra: quella dei recenti scontri bellici – dall’invasione russa in Ucraina, dove tra uccisioni e stupri, le persone transgender sono bloccate con l’impossibilità di superare il confine a causa dei documenti non riconosciuti – a quella ideologica di una classe politica che nega ogni violenza omobilesbotransfobica e invalida quotidianamente i corpi che non rispecchiano l’immaginario tradizionale.
Dalla fantomatica ‘teoria gender’ che si rifiuta di dare dignità, sicurezza, e un’adeguata assistenza sanitaria alle persone transgender e al contempo impedisce un’adeguata educazione sessuale nelle scuole. All’aborto, costantemente manipolato e reso inaccessibile da un’estrema destra che ‘strumentalizza’ il diritto alla natalità e compromette l’assistenza sanitaria a cui ogni persona con utero merita di accedere.
È la violenza generata non da tutti gli uomini, ma di cui ogni uomo beneficia perché supportato da un sistema costruito a misura per lui, tanto da darlo per scontato e assoluto. Ed è proprio per questo che è essenziale riconoscere i propri privilegi e attivarsi ad un’alleanza costante, un ascolto vigile che non silenzi ulteriormente le voci di ogni donna o persona transgender, soprattutto mettendo in discussione quella misoginia interiorizzata che anche gli uomini gay ritardano a considerare.
È una lotta transfemminista che ci chiama tuttə in causa, con l’urgenza di smantellare quella cultura eteronormata che educa al possesso e mette in pericolo chiunque fuoriesce da quei ruoli binari prefissati, quei dogmi tradizionali e arcaici che impediscono l’autodeterminazione di ogni identità. Che sia da casa o in piazza, ogni voce è coinvolta.
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