Teoria gender (o “ideologia gender”) è un’espressione errata e fuorviante per riferirsi agli studi di genere.
Coniata negli ambienti vaticani a metà anni 90, riproposta da Lexicon a inizio anni 2000, per poi reinserirsi nei discorsi di Papa Ratzinger nel 2013 fino a Papa Francesco, dando pan per focaccia a politici di destra e genitori spaventati.
Nelle loro parole, la fantomatica “ideologia” ha il rischio di indottrinare, confondere, e strumentalizzare i bambini, esponendoli a lezioni di porno nelle scuole, pratiche masturbatorie precoci, normalizzazione della pedofilia, e abolendo ogni differenza tra maschio e femmina.
Ma tutto questo è privo di consistenza: i progetti ideati dai governi Monti e Letta promuovono la diffusione dei volumi “Educare alla diversità a scuola” accompagnati da un corso di formazione con l’obiettivo di colmare le nostre (ancora oggi fin troppo abbondanti) lacune riguardo l’identità di genere (ovvero, la percezione che ognun* ha di sé in quanto maschio o femmina), orientamento sessuale (l’attrazione erotica o affettiva per un genere o l’altro), parità tra uomini e donne, e i diversi modelli famigliari possibili.
Più che eliminare le differenze, l’obiettivo è conoscere le differenze e non discriminarle, evitando atti di bullismo o microaggressioni quotidiane generate da intolleranza e scarsa conoscenza.
La parola gender (utilizzata a sproposito tra propagande anti-gender o no-gender) fa semplicemente riferimento al nostro genere, senza rincondurre la dicotomia uomo-donna esclusivamente ad un discorso di anatomia o genitali (o come diciamo di solito: il “sesso” di una persona).
Quando i detrattori si dichiarano anti-gender ignorano per partito preso secoli di studi e ricerche tra origine dell’identità e il rapporto con il proprio contesto socio-culturale. Di conseguenza, riconducono automaticamente la definizione di maschio e femmina al sesso assegnato alla nascita, quindi quello biologico.
Oltre che priva di qualunque valenza empirica, questa presa di posizione (camuffata per “libero pensiero”) non fa altro che legittimare e normalizzare forme di omobitransfobia e rafforza quella scala gerarchica che vorrebbe “veri maschi” e “vere femmine” (eterosessuali e cisgender) come norma da seguire.
Perché il “gender” fa così paura? Perché fa traballare quel corollario di eteronormativa sul quale si è sempre retta la nostra società.
Per eteronormativa si intende quel sistema che vuole mantenere l’eterosessualità alla base – e con essa anche la binarietà dei ruoli di genere, e tutte le aspettative sociali che ne derivano.
Metterla in discussione implica far vacillare un bagaglio di certezze che abbiamo sempre considerato assolute per chiunque. Soprattutto destruttura la gerarchia patriarcale, che vuole un padre “forte e autorevole” e una madre “amorevole e sensibile”.
Il terrore di “contagiare” i bambini e farli diventare tutti trans e omosessuali, dice molto di più dell’insicurezza e angoscia di provare a riformulare tutto quello che ci è sempre stato detto sul genere e l’attrazione sessuale, e renderci conto che non si fonda su una verità assoluta.
Il presunto indottrinamento non fa altro che educarci a più possibilità, e cogliere le mille sfumature dello spettro tra maschio e femmina senza precostrutti.
Se un uomo come l’onorevole Pillon concentra un’intera campagna politica sull’affossamento del DDL Zan, sorge il dubbio che la struttura su cui regge la sua intera identità non sia abbastanza solida, soprattutto quando basta anche solo la presenza della comunità LGBTQIA+ per mandarlo in escandescenza.
Per fortuna, la conversazione è iniziata da un pezzo e le nuove generazioni non ne possono già più di questa narrazione stantia e fuori tempo massimo: hanno domande, fame di scoprire e scoprirsi, e ogni giorno sono più feroci del precedente.
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