Ciao Michela: le lotte, i libri e le battaglie di una scrittrice libera

«Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai»: il nostro saluto a Michela Murgia

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La prima cosa a cui ho pensato, qualche minuto fa, alla notizia della morte di Michela Murgia è stata: «e ora?». Tre parole che non portano a una risposta – me ne rendo conto – ma che sono figlie del più sincero istinto. Tre parole che immagino condivise: sono certo, anzi, che tanti, tante, tantə abbiamo pensato esattamente la stessa cosa. E ora? La sensazione è quella di uno spaesamento totale, intendo proprio di cordoglio collettivo, di confusione e sbandamento, di improvvisa cecità generale.

Rimane la cera e rimaniamo noi, ma manca il lume. Proprio nel momento in cui più abbisogniamo di luce, una luce si spegne. 

E ora, quindi? Ora chi si farà carico di quel coraggio? Chi parlerà al suo posto? E soprattutto chi lo farà con quella lucidità d’eloquio, con quella retorica mai impigrita? Chi saprà affidarsi a uno sguardo così lucido, sempre svelto, sempre attento?

Ciao Michela: le lotte, i libri e le battaglie di una scrittrice libera - Schermata 2023 08 11 alle 02.59.48 - Gay.it
Dal profilo Instagram di Michela Murgia

Abbiamo perso un’intelligenza di enorme caratura, una scrittrice ostinata, così testarda e ferma da essere riuscita a imporsi come voce del contro-pensiero, come lume della contro-cultura. Polemica, scomoda, sfacciata e indefessamente ideologica, Michela Murgia ha svelato le ipertrofie del nostro sistema politico-culturale, le fascinazioni di un fascismo che non ha mai smesso di controllarci, di regolare le nostre esistenze e il nostro agito nel mondo. Dagli esordi agli ultimi interventi pubblici, Murgia si è sempre messa di sbieco, ha sempre provato a raccontare le cose del mondo assumendo una postura dritta, fedele alla linea e a sé stessa, ai propri principi e alla propria idea di amore. Da un osservatorio femminista, anti-fascista e queer, l’autrice sarda ha stanato il tiranno che ci abita nel ventre, provando a eviscerare i nostri corpi e i nostri pensieri di quella spina dorsale autocratica e dispotica che rinneghiamo ma sulla quale, spesso senza accorgercene, ci posiamo.

È nata nel giugno del 1972 a Cabras in una famiglia di sinistra, profondamente patriarcale, violentemente patriarcale. Da quella famiglia è scappata presto, non appena ha potuto. Ha cercato approdi tra altre braccia, in affetti diversi da quelli regolati dal sangue, dai ruoli nucleari. E così ha vissuto dieci vite e più, forse cento vite, forse mille vite. È stata cameriera e precettrice, teologa, rappresentante, venditrice e pensatrice, la voce di un call center e la voce di un paese, operatrice del telemarketing, receptionist e intellettuale.

Accabadora - Michela Murgia - Libro - Einaudi - Super ET | IBS

Il suo esordio letterario è piuttosto tardivo: Murgia ha trentacinque anni quando Il mondo deve sapere va in stampa per la casa editrice milanese ISBN (oggi il testo è disponibile nel catalogo Einaudi). Si tratta di un testo che porta in nuce tutte le sue battaglie future: è l’inizio e già duella, già pungola, subito obbliga al giudizio critico, al pensiero politico. Da subito, denuncia le brutture di una società avvizzita intorno al dio denaro e ai suoi dogmi. Da subito dichiara da che parte sta, in che direzione vuole andare. Nel 2009 vince il Campiello, il SuperMondello e il Dessì con Accabadorail suo romanzo più riuscito, una storia radicata nel folklore sardo che con la lingua immaginifica della narrativa toglie la patina dai temi civili dell’eutanasia, del dopo morte e delle famiglie non convenzionali. Poi Chirù, L’incontro, Futuro interiore Ave Mary, uno dei suoi testi più interessanti e contraddittori, che analizza il rapporto tra la Chiesa e la rappresentazione della figura femminile. Un saggio giustamente controverso e criticato, che rilegge la Bibbia in ottica femminile e femminista svelandone paradossi e iniquità.

Ciao Michela: le lotte, i libri e le battaglie di una scrittrice libera - Schermata 2023 08 11 alle 03.08.49 - Gay.it
Dal profilo Instagram di Michela Murgia, qui con Chiara Tagliaferri

Nel frattempo, arriva la televisione. Nel frattempo, arriva la popolarità. Rai Tre, gli screzi con Augias, le stroncature, quel gioiellino che è stato Chakra e i podcast. Nel frattempo, arriva MorganaArrivano le Morgana, tutte le streghe e le maghe, le fate e le combattenti, tutte quelle donne che scrivono e riscrivono i codici della femminilità. Michela, intanto, diventa la valchiria, l’accabadora e la suffragetta, la comunista e la cattolica, la democristiana e la rompipalle, la femminista, la sinistroide. Arriva la popolarità e arriva l’odio: Murgia diventa simbolo e stendardo, diventa prima voce di un coro semimuto, punchball e icona. Di certo, non smette mai di esprimersi, di far sentire la propria voce insieme a quella di chi ha deciso di condividerne le istanze. Quando c’è da criticare, Murgia critica. Che tocchi a Gasparri o a Scanzi, a Meloni o Salvini. Che si parli di guerra o di tasse, di migranti e di diritti, la scrittrice affila la sua penna per portare a galla le ingiustizie e le parzialità di un modo di vivere profondamente (e assurdamente, spaventosamente) fascista e sciovinista.

È questo che le dobbiamo: su tutto, dobbiamo riconoscerle il coraggio e la verticalità del pensiero, il passo integerrimo, la filosofia ontologicamente anti-fascista. Murgia ha combattuto la retorica tirannica, il discorso bellico applicato alla vita in pace. Lo ha fatto in ogni post social e in qualsiasi tempo, in ogni discorso pubblico e in ogni intervista. Lo ha fatto in ogni conferenza, a ogni presentazione od ospitata. Lo ha fatto in ogni libro, soprattutto nella seconda fase della sua carriera: da Istruzioni per diventare fascisti God Save the Queerda Noi siamo tempesta a Stai zittaNon sempre condivisibile, non sempre conciliante e non sempre coerente, ma perennemente logica e ironica, Murgia si è avvalsa del (suo) potenziale linguistico per beffeggiare, smontare e ricostruire l’oratoria di una classe politica cieca, gretta e inadeguata.

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Dal profilo Instagram di Michela Murgia

 

Con la sua intervista al Corriere della Sera, lo scorso 6 maggio, ha dichiarato di essere malata terminale e ha spostato il dibattito pubblico intorno ai temi della famiglia e degli affetti. Non sono le metastasi a spaventarla né le parole carcinoma al quarto stadio, a terrorizzarla è l’assenza di tutela legale e di riconoscimento civile verso la sua famiglia ibrida, il suo nucleo tutto aperto, queer e perciò obliquo. Per questo motivo, ha dedicato gli ultimi giorni alla sua teoria dell’amore, impegnandosi in questa performance – più formale che concreta – controfamigliare che ha suscitato comprensibili entusiasmi e altrettanto comprensibili scetticismi. La morte ha bussato alla sua porta e lei ha comprato una casa per dieci, una casa per tutti, per tuttə, poi si è sposata in articulo mortis (pur criticando l’istituto matrimoniale dall’interno) e ha messo in salvo i suoi cari e il suo patrimonio, i suoi quattro figli d’anima e i suoi amori, i suoi amici e le sue idee. Ha scritto Tre ciotolein cima alle classifiche di vendita, che è forse il suo romanzo meno riuscito, ma il suo testo più politico, testamentario e radicale. Il suo libro, volente o nolente, più importante.

Michela Murgia è morta a Roma il 10 agosto 2023, nella sera delle stelle che cadono. Qualche ora prima del decesso lottava per dare acqua ai migranti approdati a Ventimiglia. Forse questo articolo poteva iniziare e concludersi così. A prescindere da tutto – dalle ideologie e da dio, dagli accordi e i disaccordi, gli amori e i disamori – Michela Murgia ci ha lasciato un’eredita immensa, un lascito sconfinato di parole e di pensiero.

Chi sigla questo testo non crede in dio, ma ammette il beneficio del dubbio. Allora spera ci sia luce. E preghiere per chi rimane, qualsiasi cosa voglia dire pregare, qualsiasi cosa voglia sperare, qualsiasi cosa voglia resistere.

Grazie, Michela.

«Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai.».

Foto di copertina: Alberto Gandolfo/LaPresse

 

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