Come nello sport, anche nel mondo dei concorsi di bellezza le persone trans*, e in particolare le donne, sono costrette a subire discriminazioni e pregiudizi riguardo la propria partecipazione. Il respingimento della partecipazione delle donne transgender a questi concorsi ha più volte solcato le pagine dell’opinione pubblica e ora, con una sentenza della Corte d’Appello degli Stati Uniti, potrebbe esserci una svolta.
La vicenda si è svolta in Oregon quando, nel 2019, Anita Green ha citato in giudizio l’organizzazione del concorso Miss Stati Uniti d’America per non averle permesso di partecipare al concorso di bellezza per Miss Oregon. Il tribunale distrettuale dello Stato, tuttavia, aveva respinto il caso, spingendo Anita a fare ricorso. Il risultato, tuttavia, non è stato quello che Anita si aspettava.
La scorsa settimana la Corte d’Appello ha emesso la sua sentenza – di ben 106 pagine – in cui afferma che il concorso di Miss Stati Uniti d’America non può essere costretto a far partecipare le donne trans* alle sue competizioni. Una pronuncia che segna un evidente precedente e apre la strada ad una discriminazione ancora più aperta ed accanita.
Da un punto di vista puramente logico, Anita Green aveva tutta la ragione dalla sua parte. La sua causa si basava sul fatto che il regolamento di Miss America consente solo alle donne “naturali”, cioè nate con organi sessuali femminili, di partecipare. Questo, tuttavia, andava contro la legislazione dell’Oregon, lo Stato in cui desiderava partecipare al concorso di bellezza.
L’Oregon Public Accomodations Act, infatti, sostiene la parità di diritti per ogni persona indipendentemente dal credo, dal background o dall’identità: «Tutti gli abitanti dell’Oregon hanno diritto a sistemazioni, vantaggi, strutture e privilegi pieni e uguali di qualsiasi luogo di alloggio pubblico, senza alcuna distinzione, discriminazione o restrizione a causa di razza, colore, religione, sesso, orientamento sessuale, nazionalità origine, disabilità, stato civile o età (maggiore di 18 anni)».
La difesa dell’organismo direzionale di Miss Stati Uniti d’America si è basata sul fatto che, pur trovandosi d’accordo nel dover rispettare l’OPAA, il Primo Emendamento dà loro diritto a rifiutare una particolare concorrente. È su questo punto che la Corte d’Appello ha dato ragione a Miss America, di fatto consentendo all’organizzazione – e a tutte le altre con simili vedute – di discriminare le concorrenti in base al sesso di nascita.
Nella sentenza si legge la seguente frase: «Il concorso non sarebbe in grado di comunicare ‘la celebrazione delle donne biologiche’ se fosse costretto a consentire a Green di partecipare. Il concorso esprime il suo messaggio in parte attraverso chi sceglie come suoi concorrenti, e il Primo Emendamento gli conferisce il diritto di farlo». E ancora:
«L’insistenza di Green sul fatto che non ci fosse alcuna differenza significativa tra [lei] e le concorrenti cisgender del concorso era esattamente l’affermazione opposta a quella che il concorso cercava di fare»
Oltre al fatto che attaccarsi ai tatticismi costituzionali sembra ormai essere diventata l’arma preferita dei conservatori di destra americani, la sentenza si è anche lanciata in uno sconcertante e allucinato paragone con un classico del teatro americano, “Hamilton”: «Se fosse stato applicato ad “Hamilton” uno statuto antidiscriminatorio per includere attori bianchi, lo spettacolo semplicemente non sarebbe in grado di esprimere il messaggio che desiderava». L’affermazione si commenta da sola, ma dà bene l’idea del clima transfobico che si respira.
La cosa, tuttavia, pare che valga solo per una parte dei concorsi di bellezza. C’è ad esempio Miss USA, che nonostante il nome molto simile, è un’organizzazione a parte, e consente alle donne trans* di partecipare, così come anche Miss Universo è più aperto in termini di inclusione. È di poche settimane fa anche l’annuncio del matrimonio di Miss Porto Rico e Miss Argentina, che si sono conosciute a Miss Grand International. Recentemente ha destato gioia presso la comunità LGBTQIA+ internazionale la notizia che il concorso Miss Universo – un tempo di proprietà di Trump – sia stato acquistato dall’imprenditrice Anne JKN, donna transgender.
Il mondo dei concorsi di bellezza è vasto e per molti versi ancora confuso, specialmente per chi da fuori non ne conosce i meccanismi. La sentenza della Corte d’Appello rimane un punto critico ma, nel quadro più generale, segnali positivi arrivano ancora.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.