Ospite al favoloso Sherocco Festival (qui il report di Simone Alliva), dove ha tenuto la sua lectio dal titolo “Lettera alle nuove attivistə”, Paul B. Preciado ha riservato spunti di riflessione potenti, fondamentali, e più urgenti che mai. Il filosofo e scrittore – considerato tra i più importanti pensatori queer in vita – in un’intervista per Il Manifesto si è esposto anche sulle recenti leggi anti-abortiste definendosi per nulla sorpreso: per Preciado è l’effetto collaterale di “una controriforma che si oppone alla rivoluzione in corso“, ricreando una sovranità di alcuni corpi su altri, e immergendoci in una battaglia che riguarda chiunque (non solo donne cisgender): “Non mi interessa definire questa battaglia secondo la logica dell’identità, opponendo uomini e donne, femminismo e antifemminismo.” spiega il filosofo “La legge statunitense è molto legata alle pratiche eterosessuali, ma non è una battaglia identitaria che riguarda solo le donne eterosessuali. Ci sono donne, come le donne lesbiche, che hanno un utero ma non ne fanno un uso gestante. Mentre ci sono uomini trans che hanno un utero gestante. Questa battaglia riguarda anche loro, è per la sovranità di certi organi.”
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Preciado definisce l’aborto una “tecnologia del corpo” che va in totale opposizione alle teorie delle terf, che continuano ad escludere le persone transgender dal movimento femminista: “Le femministe che criticano il movimento trans restano dipendenti da un’idea di natura. Ma l’aborto non è naturale” spiega Praciado, evidenziando come le tecniche di gestione della riproduzione, insieme alla pillola del giorno dopo o quella contraccettiva, sono sempre ormoni, come quelli presi dalle persone trans in transizione. A che pro quindi creare un’esclusione? “Le femministe dovrebbero smettere di pensare all’utero e al corpo femminile come qualcosa di naturale altrimenti, mi spiace, ma non si può abortire. Dobbiamo creare un’alleanza di corpi contro la norma e reclamare l’uso delle tecnologie del corpo.”
Riguardo il complicato periodo storico che stiamo vivendo, Paul B. Preciado offre un punto di vista incoraggiante, senza scadere mai in retorica spicciola o pigri slogan motivazionali, ma con tutta la lucidità che meritiamo. Il filosofo ci mette davanti due opzioni: l’orrore e il totale smarrimento, o in alternativa, riconoscere “una rivoluzione così forte che la Corte statunitense deve provare a fermarla con le unghie“: “Vogliono tornare al Settecento, ma questa rivoluzione è inarrestabile” dichiara il filosofo “Il problema non è che la rivoluzione non stia avvenendo, ma come realizzarla. Qual è il processo di organizzazione necessario a questa trasformazione rivoluzionaria? È questa la vera domanda, quella più complessa.”
Nell’intervista, inoltre, Preciado invita a studiare e ascoltare i movimenti antirazzisti e di liberazione nera, fondamentali per comprendere il privilegio coloniale, o come lo definisce lui: “patriarca-coloniale”. Il privilegio dell’uomo bianco eterosessuale permette una totale sovranità sui corpi, che non ha nulla a che vedere con la “libertà” rivendicata dai gruppi di estrema destra. “La libertà non si acquisisce per nascita, se no è quella del colono che possiede territori, schiavi e donne.” spiega Preciado ” La libertà è un esercizio. Non un privilegio, ma una pratica. Un atto di invenzione.”
Leggi anche: Perché Paul B. Preciado è fondamentale nella comprensione del contemporaneo
Foto di copertina: Paul B. Preciado – Catherine Opie
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Due punti mi lasciano perplesso. L'affermazione che il corpo non debba essere considerato naturale mi pare confondere il corpo stesso con ciò che facciamo di esso. Sicuramente ciò che facciamo con il nostro corpo o al nostro corpo non deve necessariamente essere 'naturale'. Ma il corpo in sè? L'utero in sè? La seconda cosa è l'affermazione che siccome sia l'aborto che la transizione (e poi la pillola, si potrebbero fare altri esempi) sono "tecniche", allora devono essere o entrambi accettati in tutte le loro conseguenze e implicazioni (più o meno necessarie) o rifiutati in toto . Io personalmente ritengo entrambi legittimi, ma per chi avesse obiezioni, sull'uno o sull'altro, l'argomento mi sembra debole. Fra l'altro, le terf non mi sembra si oppongano alla transizione in quanto atto, ma all'interpretazione del risultato. Mi sembra che questo non abbia niente a che fare con la questione dell'aborto, che invece è essenzialmente un problema di legittimità di un atto.
Molto interessante questo articolo (con il link all’intervista sul Manifesto), offre tanti spunti, mi ha dato voglia di leggere il suo ultimo libro (vivo in Francia, uscirà a novembre), perché non sono d’accordo su molti punti, e soprattutto sull’utilizzo di certe categorie, che mescolano il passato storico con l’attualità (ovviamente la storia crea il nostro linguaggio, ma non bisogna scordare che l’attualità lo ridefinisce, e all’interno di un sistema filosofico le categorie non devono mai essere ambigue, senno’ si cade nella tuttologia). Un esempio tra le cose che ho letto (nell’intervista, non in questo articolo), su cui non sono d’accordo : « È tra un fronte fascista di riforma patriarco-coloniale e un insieme di corpi che lottano per la definizione di una nuova sovranità ». Purtroppo il fronte non è fascista. Sarebbe facile avere un « nemico » cosi’ identificabile. La sovranità del corpo si legittimizza grazie a dei dogmi molto più complessi, di cui le nostre società ereditano, e che è sciocco, e forse anche un po’ intellettualmente disonesto, ridurre ad un discorso più vicino alla demagogia che al discorso filosofico . Per provare a spiegarmi : qui dove vivo (in Francia) mi è vietato vendere delle parti del mio corpo. Io non posso vendere uno dei miei reni che mi appartiene (non lo posso neanche barattare, posso solo offrirlo in regalo). Perché non sono padrone del corpo che mi appartiene? Chiunque provi a rispondere a questa domanda, si troverà a ragionare secondo le stesse logiche che alimentano, ad esempio, i movimenti antiaborto. E questo perché i dogmi alla base della definizione della sovranità del corpo sono molto più atavici del fascismo, anche qui, all’interno della democrazia francese (che, aldilà delle sue contraddizioni, sarebbe difficile definire come una società fascista). Comunque, grazie per questo articolo, e aspetto novembre per leggere il libro.