Quando si parla di omofobia istituzionale, non si tratta di un eufemismo. Se mesi di attacchi indiscriminati a famiglie arcobaleno, carriere alias, il picco di aggressioni e abusi a sfondo omobitransofico di quest’anno non bastassero a dimostrarlo, forse ci penserà la vicenda che coinvolge Alessio Butti, coordinatore cittadino FDI di Arquata Scrivia.
Non molto tempo fa, l’esponente piemontese del primo partito italiano espresse – con un post su Facebook – una posizione netta in materia di comunità LGBTQIA+, trasudante di una retorica d’odio indifendibile, al di là dello schieramento politico.
“Non sono minimamente sensibile alle menate lgbt, agli appelli contro l’omofobia e altre amenità, che una certa cultura vuole imporci” – scrive Buratti – “I pederasti possono sgranare rosari a raffica, ottenere anche valanghe di voti, ma restano dei reietti, soggetti da cui girare alla larga, per il loro stile di vita e per l’intimità malvagia di cui questo genere di persone sono capaci.
Vergogna perenne per chi li ha messi al mondo, imbarazzo per chi li frequenta, fonte di laido guadagno per chi dispensa loro “coccole”, come amano definire le prestazioni omoerotiche che acquistano: i loro insulti sono un onore per tutte le persone per bene!”.
Quando Ivan Scalfarotto, deputato di Italia Viva, chiese alla premier se tali dichiarazioni riflettessero le idee di FDI, il partito inizialmente prese le distanze. Un mezzo scandalo presto spazzato sotto il tappeto: Butti fu sospeso anche dallo staff del deputato piemontese Enzo Amich, con cui collaborava, almeno fino a quando le acque si fossero calmante.
Dopo soli sei mesi, il reintegro e la scalata: un omofobo conclamato è oggi nel direttivo provinciale di Alessandria, di cui è presidente l’attuale sindaco di Casal Monferrato, Federico Riboldi. Un tempo di allontanamento relativamente breve se si considera la gravità di uno sproloquio simile in bocca a un rappresentante di partito.
Nessun comunicato di scuse necessario, solo una stagione di eliminazione. Più che una punizione, una manovra simile appare più di una strategia di damage control che il partito di Giorgia Meloni si è trovato costretto ad adottare quando uno dei suoi ha sforato leggermente il limite massimo di retoriche d’odio consentite.
Perché non dimentichiamoci che l’omofobia istituzionale raramente si manifesta in maniera così chiara. Solitamente, è la ministra Roccella che rifiuta di riconoscere le famiglie omogenitoriali, nascondendosi dietro ai discorsi triti e ritriti sulle compravendite di bambini, il ministro Salvini che propone di candidare il generale Vannacci alle elezioni europee, la nostra stessa premier che vola a parlare di “Dio e famiglia” nell’Ungheria di Orban, che ha appena cancellato il diritto di autodeterminazione per le persone transgender.
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