A Rimini padre e figlia sono stati condannati a 24 mesi di reclusione per aver ripetutamente insultato con epiteti omofobici un ragazzo gay.
Ha sopportato maltrattamenti per un anno e mezzo, sperando che i loro atteggiamenti omofobici si esaurissero, affrontando quotidianamente l’umiliazione mentre usciva dalla casa del suo compagno per recarsi al lavoro. Dopo essersi rivolto all’associazione Arcigay Rimini “Alan Turing” e aver ricevuto il supporto dell’avvocato Christian Guidi del Foro di Rimini, finalmente si è concluso questo incubo.
Il padre e la figlia sono stati condannati complessivamente a 24 mesi per stalking omofobico, ma hanno beneficiato della sospensione della pena. Ora dovranno risarcire le parti civili (la vittima, l’ex compagno – con cui si è separata anche a causa di questa situazione di stalking – e Arcigay Rimini), oltre a pagare le spese processuali, per un totale di circa 30.000 euro. Il Tribunale ha suggerito che padre e figlia potrebbero usufruire della possibilità di svolgere attività sociali, per commutare la pena.
“Una vittoria della civiltà che si realizza” ha spiegato Marco Tonti, presidente di Arcigay Rimini, che si è costituitasi parte civile “Una condanna esemplare che ogni persona che pensa di poter adottare comportamenti omofobici e discriminatori dovrà tenere ben presente. Il nostro obiettivo principale infatti è la prevenzione di queste situazioni, e in mancanza di una legge nazionale contro le discriminazioni omo-bi-transfobiche (l’Italia è unico Paese in Europa a non averla) queste sentenze esemplari possono rappresentare un fondamentale deterrente, per questo è importante denunciare sempre.”
Il ragazzo è stato difeso dall’avvocato Christian Guidi, che ha rappresentato le parti civili e ha ringraziato Arcigay Rimini e l’ANPI, l’Associazione Partigiani provinciale di Rimini. “Mi fa piacere sottolineare come la Procura della Repubblica di Rimini, in particolare la dottoressa Giulia Bradanini – ha spiegato l’avvocato Guidi – abbia affrontato questa delicata situazione con attenzione e sensibilità. Spero che il percorso di recupero per i condannati possa avere un impatto positivo e contribuire a una maggiore consapevolezza sociale, che risulterà sicuramente più efficace della semplice pena inflitta”.
Della fine di un vero e proprio incubo ha parlato la giovane vittima, a sentenza annunciata.
“Un capitolo che si conclude perché tutti questi anni di attesa sono stati un peso costante – ha detto il ragazzo – Sapere che finalmente è stata fatta giustizia rappresenta una grande liberazione personale e per la comunità. Ho imparato che quando si subisce violenza di qualsiasi tipo, bisogna denunciare senza vergogna e non rimanere imprigionati nel proprio dolore personale, perché esiste una comunità pronta ad accoglierti, ascoltarti e offrirti sostegno. Ogni individuo dovrebbe essere libero di vivere la propria quotidianità con serenità, amando chi desidera e potendo essere sé stesso”.
immagine di copertina creata con intelligenza artificiale
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