Samuele Vegna è una delle tante vittime dell’omofobia italiana. L’aggressione raccontata a Freeda è avvenuta in un giornata normale, dopo che lui e un altro ragazzo si sono scontrati, mentre stavano camminando. L’aggressore era intento a guardare il cellulare ed è stato ripreso da Samuele, che gli ha semplicemente detto “Ma guarda dove vai“. Un’aggressione omofoba senza senso, data dall’ignoranza e dall’odio.
Anche Gay.it aveva raccontato la sua storia, due anni fa.
Ma nel ragazzo è scattato qualcosa dentro, come dice lo stesso Samuele, che ha voluto raccontare la sua storia a Freeda.
Ha iniziato a urlami “fr*cio di m*rda”, secondo me perché avevo i capelli tinti d’argento. Nella sua testa era proprio l’associazione probabilmente capelli d’argento uguale fr*cio di m*rda da picchiare, da pestare e da ridurre al silenzio.
Lo racconta con un accenno di sorriso, Samuele, nel video. Perché non può sembrare vero quello che è successo, e solo per un accidentale scontro. Ma ancora più incredibile è l’indifferenza dei presenti. Perché Samuele è stato insultato, poi spinto e terra, preso a calci e pugni. Botte di una furia cieca che gli ha fratturato la mascella, che lo ha costretto a un’operazione d’urgenza e a dover tenere a vita due placche di titanio sul volto. Ma davanti a tutto questo, nessuno ha mosso un dito. Chi era presente ha atteso che l’aggressione omofoba finisse, come se fosse naturale.
Ma dopo l’aggressione omofoba, rimane la paura di essere sé stessi
La paura di uscire di casa e vivere essendo sé stessi può continuare anche per mesi. È proprio quello successo a Samuele.
I giorni dopo l’aggressione sono stati abbastanza pesanti in realtà, anche perché mi sentivo proprio sporco. Sono stati pesanti anche i mesi dopo l’aggressione, perché sono caduto in depressione e non uscivo più di casa, perché ero proprio terrorizzato di ritrovarmelo davanti.
Una paura passata solo con una terapia, con l’aiuto di uno psicologo. Con la scelta di iniziare con la psicoterapia, Samuele è uscito dalla gabbia che si era creato, come dice lui stesso.
Sono passati due anni dalla sua aggressione, vive tranquillamente la sua vita e le paure iniziali le ha scacciate in qualche mese. Ma si chiede:
Io sono uno dei pochi, dei pochissimi che ha denunciato. Ma perché? Non viene ritenuto un vero reato, un vero crimine la discriminazione. In Italia c’è bisogno di una legge contro l’omofobia, contro la transfobia e la misoginia, perché c’è da ristabilire un equilibrio di valori.
Una legge che deve essere approvata, perché aiuterebbe Samuele, così come tutte quelle persone che vengono o sono state discriminate e chi ha paura di esserlo, a sentirsi più al sicuro. È naturale che il ddl Zan eliminerà completamente le aggressioni omofobe, ma permetterà che queste vengano punite. Di avere giustizia. E di sentirsi cittadini liberi di amare chi si vuole.
E Samuele conclude con un messaggio:
Sii te stesso, esprimi te stesso. Soprattutto, non avere paura di tingerti i capelli e di farti due passi per strada, e non aver mai paura di baciare il tuo compagno.
Infine, Samuele “ringrazia” il suo aggressore. Col tempo, ha trasformato quella rabbia dell’aggressione omofoba in una voglia di fare qualcosa, in un attivismo contro le discriminazioni, che il ragazzo porta avanti ancora oggi. E alla fine, diventare una nuova voce contro l’omofobia.
Coming out ed attivismo sono le armi più potenti che abbiamo.