Un recente spot Samsung è stato rimosso dalle reti televisive di Singapore perché accusato di promuovere “ ideologia LGBTQIA+”.
Il video si intitola “Listen to your heart” e per 4:13 mostra quattro protagonistǝ diversǝ, ognunǝ con la sua storia, mentre uno smartwatch ne monitora il battito cardiaco.
Tra questǝ c’è Zainab, donna mussulmana di sessant’anni che ascolta le parole del figlio drag queen: “Cara mamma, non tutti hanno una madre comprensiva e dalla mentalità aperta come te e il mio cuore non può ringraziarti abbastanza. A te non scalfisce essere giudicata o guardata diversamente dalle persone perché tuo figlio fa la drag.”
Lo spot si conclude con un commovente abbraccio tra i due.
La rimozione del video ha generato un’indignazione generale sui social, dove centinaia di utenti hanno accusato la Samsung di non aver preso le difese dello spot, assecondando così una scelta omobitransfobica.
“Era uno dei primi video a rappresentare un gruppo marginalizzato, e la relazione tra madre e un figlio era così potente” dichiara a BBC News, Hilmi, manager dell’organizzazione LGBTQIA+ Oogachaga “In quanto uomo queer, mi rattrista vedere un video che non fa altro che esprimere amore incondizionato, venire rimosso in seguito alle pressioni di gruppi conservatori”.
Difatti, essere gay a Singapore è ancora illegale (la considerano un pratica “disgustosa e indecente”) con una pena di almeno due anni di prigione.
Uno studio del 2019 ha rilevato che il 70% della popolazione disapprova relazioni tra persone dello stesso sesso, e il 67.9% degli intervistati le considera “sbagliate da sempre“.
Con un post di scuse, la multinazionale dichiara di aver previsto in anticipo le possibili controversie dello spot, sapendo che alcuni membri locali avrebbero potuto considerarlo “offensivo e inadeguato”.
“Ma non è ancora chiaro cosa ha offeso queste persone” replica Pink Dot, altra associazione LGBTQIA+ “Se il fatto che anche a Singapore esistono persone LGBTQIA+, se anche noi meritiamo amore e rispetto, o entrambe le cose”.
Conclude Pink Dot: “Dovremmo sentirci liberi di raccontare queste storie liberamente, senza preoccuparci di chi ci vorrebbe nel silenzio e la vergogna solo perché ci trova offensivǝ”.
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