La Thailandia da tempo è uno dei Paesi del Sud-est asiatico che ha più tolleranza nei confronti della popolazione LGBTQ+, tuttavia, la scorsa settimana, la Corte Costituzionale ha decretato che l’unico matrimonio considerato “costituzionale” è quello tra uomo e donna, di fatto non riconoscendo la possibilità di sposarsi per persone dello stesso sesso.
La vicenda è nata quando la Foundation for Sexual Orientation and Gender Identity Rights and Justice, il più grande gruppo di attivisti thailandese, ha presentato una mozione che sfidava apertamente la Sezione 1448 del Codice Civile e Commerciale del Paese, cioè quella sezione che non estendeva il matrimonio a coppie dello stesso sesso. La mozione è stata discussa dai legislatori, la cui Corte, nonostante l’esito negativo, ha incoraggiato a realizzare «progetti di legge che garantiscano i diritti per le persone di tutti i generi». Un vero e proprio ossimoro che ha spinto gli attivisti queer a esprimere sui social il loro disappunto. Tra questi, il ricercatore di Human Rights Watch Sunai Phasuk – i cui studi da anni si focalizzano sulla Thailandia –, che ha così espresso il suo rammarico:
«La Corte Costituzionale afferma che il matrimonio può essere contratto solo tra un uomo e una donna, il che rende l’impegno del governo a promuovere la parità di genere privo di fondamento»
Breaking! #Thai Constitutional Court upholds marriage law, which states that marriage can only be contracted between man and woman, making government’s pledges to promote gender equality meaningless. @HRW #WhatsHappeningInThailand pic.twitter.com/cSmQOKE7Pd
— Sunai (@sunaibkk) November 17, 2021
L’annuncio, inizialmente riportato da Bloomberg, ha mosso anche le coscienze di molti intellettuali e storici. Uno fra tutti Chanun, che ha definito il provvedimento «una discriminazione nella discriminazione».
«Fa sembrare feudale l’istituzione del matrimonio, come qualcosa legato solo al maschio e alla femmina»
A voler ben guardare, si tratta veramente di un enorme passo indietro per il Paese. Rispetto ai suoi vicini, la Thailandia ha tolto l’omosessualità dalla lista dei disturbi mentali nel 2002 e, in generale, a partire dagli anni Novanta si è registrata una sempre più crescente tolleranza verso la comunità LGBTQ+. Oggi la società è molto più incline ad accettare orientamenti sessuali diversi, nella vita quotidiana quanto nei media. L’ultimo passo, che in questo momento sembra invalicabile, è quello dei diritti civili.
Nel 2018, il Gabinetto Thai aveva approvato una legge che avrebbe permesso alle coppie dello stesso di celebrare le unioni civili, la cui distinzione con il matrimonio “classico” è la stessa che vige attualmente in Italia. Mentre i portavoce del governo l’avevano definita una legge storica nel Paese, gli attivisti si erano espressi diversamente, affermando come «il disegno di legge sulle unioni civili non è una pietra miliare per l’uguaglianza di genere in Thailandia, è invece un ostacolo per raggiungere il matrimonio per tutti», nelle parole di Tattep Ruangprapaikitseree.
Alcuni tentativi verso l’uguaglianza sono stati fatti, come la proposta di legge sul matrimonio egualitario presentata dal ministro del partito Move Forward Tunyawaj Kamolwongwat, che però non è ancora stata discussa dai legislatori. La speranza di tutti era che la Thailandai seguisse l’esempio di Taiwan, che nel 2019 è diventato il primo Paese asiatico ad estendere il matrimonio alle coppie queer. «Non vogliamo niente di speciale, vogliamo solo essere trattati come tutti gli altri», è il grido degli attivisti. Un augurio che ci facciamo tutti.
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