Il quotidiano Repubblica, che già da tempo ci ha abituato a ricostruzioni fantasiose, oggi ci propina la sua interpretazione degli emendamenti al ddl Cirinnà, sostenendo che ci sarebbe addirittura un accordo tra PD e 5 Stelle alle modifiche del testo su tre punti: divorzio lampo, nessun doppio cognome se il partner muore o ci si divorzia e soprattutto una “stepchild adoption” lievemente più complessa. Alberto Airola, che al Senato si occupa per il 5 Stelle del disegno di legge sulle unioni civili, da noi interpellato stamani è tranchant: “ho visto gli emendamenti quando li avete visti anche voi e quindi mi pare evidente che non ci possano essere accordi“.
Il quotidiano La Repubblica fa riferimento agli emendamenti presentati da Giuseppe Lumia, capogruppo PD in Commissione Giustizia, che sarebbero – ma questo è probabile – stati concordati con la Ministra per le Riforme Costituzionali, Maria Elena Boschi, e con la stessa relatrice del ddl, Monica Cirinnà: tra questi spiccano una procedura più semplificata per il divorzio, alcuni rimandi al codice civile che vengono sostituiti da articoli che snocciolano i diritti ed i doveri corrispondenti, l”impossibilità di mantenere il doppio cognome dopo la separazione ed infine modifiche all’articolo 5 della stepchild che così diventa più complessa, con una procedura che coinvolge il Tribunale dei Minori. Tutte modifiche che andrebbero nella direzione di distinguere meglio tra matrimonio eterosessuale ed unioni civili, sulla scia di quanto chiesto ieri da Papa Francesco e soprattutto di quanto sarebbe stato suggerito – ma a noi non risulta così – dalla Presidenza della Repubblica per evitare problemi di incostituzionalità del provvedimento.
In realtà, il mondo politico in queste ore è più preoccupato di due emendamenti che, se approvati, creerebbero scenari estremamente difficili da gestire, facendo slittare i tempi dell’approvazione del ddl o addirittura facendo mancare alla votazione finale il consenso dei 5 Stelle e di pezzi del Partito Democratico. E, stranamente, i due emendamenti non vengono solo dalla minoranza “cattodem” del PD, ma anche da quella della sinistra del Partito, con il senatore toscano Vannino Chiti, bersaniano di ferro, in testa. Vediamo di cosa si tratta.
L’emendamento bomba ad orologeria
Il più preoccupante di tutti è l’emendamento che vorrebbe introdurre nel ddl Cirinnà il richiamo alle norme penali previste già dalla legge 40 contro la maternità surrogata. Stiamo parlando della versione riveduta e corretta, e fortemente addolcita, dell’emendamento del Senatore PD (ex Scelta Civiva) Dalla Zuanna, che tanto aveva fatto discutere nei giorni scorsi. Come la Senatrice PD Rosa Maria Di Giorgi ci ha spiegato ieri in una intervista , in molti – lei compresa – hanno atteso la versione finale per firmarlo: oggi l’emendamento si presenta comunque inaccettabile per molti, specie perchè definisce il reato di ricorso alla maternità surrogata come “universale”, cioè applicabile anche per fatti commessi all’estero, un po’ come avviene per la pedofilia o il traffico di armi o il terrorismo internazionale. Un accostamento che, secondo molti, è assolutamente eccessivo e barbaro. Questo emendamento non è detto abbia i numeri per passare: guardando l’analisi dei voti che avevamo fatto settimane fa, infatti, se si sommano i voti di NCD (35) e Forza Italia (42), di 30/35 senatori del PD, di una decina di deputati del gruppo Per le Autonomie, forse anche della Lega Nord (12) e di una decina di altri senatori di gruppi minori non si superano i 145 voti a favore contro circa 176 contro. Ma nel segreto dell’urna non si sa mai cosa potrà succedere perché il ragionamento della Di Giorgi è semplice e rischia di far presa su altri: sulla surrogata o si è a favore o si è contro, e se si è contro dove è il problema a ribadirlo in questa legge?
L’emendamento dei bersaniani
Se quindi l’emendamento dei cattodem non è detto abbia i numeri per passare, diverso è il discorso di quello presentato dal senatore PD Vannino Chiti e da altri bersaniani, che introduce quello che noi avevamo già definito come il “foglio rosa” della stepchild: il diritto ad adottare il figlio del proprio partner, secondo questo testo, non scatterebbe subito ma dopo tre anni. Chiti, nell’assemblea del gruppo PD di martedì scorso, aveva chiesto un gesto politico sulla scia di quanto proposto la scorsa settimana dallo stesso Bersani: “Stralciamo la questione, affrontiamola nella legge sulle adozioni”. Nessun rinvio, gli era stato risposto. Ora in uno dei suoi emendamenti propone che «il governo sia delegato» e che con decreti fissi una sorta di corrimano nell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Ma è un’altra proposta che preoccupa di più: quella che per la stepchild prevede tra i requisiti di adozione in una coppia gay almeno tre anni di convivenza stabile, con una discriminazione esplicita che per molti sarebbe inaccettabile (forse anche per la Corte Costituzionale stessa). Nell’emendamento è anche previsto che la coppia dichiari di non avere fatto ricorso all’utero in affitto. Su questo emendamento possono convergere più senatori del Partito Democratico (forse anche una ventina) e quindi il rischio che passi è sicuramente più forte di quello di Dalla Zuanna, dove però il divario tra favorevoli e contrari già non era così netto.
Il rischio navetta
Quello che si profila quindi – ma le nostre, a differenza di quelle di Repubblica, sono solo supposizioni di fantapolitica – è il rischio che salti l’accordo tra Camera e Senato di non variare il testo per approvare velocemente la legge. Il perché è molto semplice: alla Camera PD e 5 Stelle hanno molti più voti; alla Camera i “malpancisti” del PD sono solo 35-40 su un gruppo di oltre 300 deputati; alla Camera, considerata anche l’età media dei componenti, le resistenze contro la stepchild sono decisamente minori. Ed allora, in alcuni si iniziano a porre il problema di cosa fare se l’emendamento di Chiti o addirittura quello di Dalla Zuanna venisse approvato: e la soluzione rischia di essere quella di far saltare quell’accordo e modificare la legge alla Camera costringendo il Senato a riapprovarla, con l’inevitabile e sciagurata conseguenza di allungare ancora una volta i tempi delle unioni civili.
Lo scenario apocalittico
In realtà c’è anche un ulteriore scenario che è quello più apocalittico. Se ad esempio l’emendamento di Dalla Zuanna venisse approvato, o se venissero approvati nel segreto dell’urna altri emendamenti tra i 6000 presentati su cui al momento nessuno ha riflettuto a dovere, c’è anche il rischio che i 5 Stelle e forse anche le parti più laiche del Partito Democratico decidano di togliere il voto dal ddl finale, facendolo saltare. E’ davvero apocalittico come scenario ed è del tutto da scongiurare, però un minimo di aderenza alla realtà rimane: nel segreto dell’urna, infatti, nessuno sa come possa davvero andare a finire.
Insomma, il terreno da qui al 2 febbraio, quando la discussione sul ddl Cirinnà entrerà veramente nel vivo dopo le pregiudiziali di costituzionalità che verranno discusse e votate il 28 gennaio, è davvero scivoloso. Occorre mantenere i nervi saldi e sperare per il meglio. A nostro fattore due elementi: un Matteo Renzi che ancora una volta ieri nella Direzione Nazionale del PD ci ha messo la faccia, sottolineando quanto è importante approvare presto le unioni civili, ed i 5 Stelle che sembrano comunque determinati a non fare sgambetti nel segreto dell’urna ed a contribuire a portare il risultato a casa.
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