E se “Temptation Island” fosse un programma queer?

Temptation Island, il successo dell'amore tossico e stereotipato.

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I Love the Way You Lie“, recita la colonna sonora di Temptation Island – amatissimo docu-reality in onda su Canale 5 giunto all’undicesima edizione e condotto da Filippo Bisciglia – che ha la volontà di mettere alla prova l’amore di sette coppie eterosessuali non sposate chiuse per tre settimane in un villaggio in Sardegna.

L’obiettivo? Scavare tra i propri sentimenti e scoprire se si tratta di vero amore oppure di abitudine, affrontando momenti di difficoltà e tentazioni ad opera di uomini e donne single dall’aspetto mozzafiato.

Mi piace il modo in cui menti” è la traduzione letteraria del brano di Rihanna che da undici anni veste i panni della sigla della trasmissione, riassumendo in 7 semplici parole il fil rouge di Temptation Island: le bugie. Bugie che spesso condizionano la storia delle coppie e che tendono a venire a galla, tra un confessionale e un altro, all’interno del villaggio dei fidanzati e delle fidanzate.

Bugie, se vogliamo ancora più spietate, quelle raccontate ad arte dalla produzione del programma che – seppure realizzando un ottimo lavoro – tende a rappresentare una sola fetta di popolazione con l’intento di conquistare la pancia del Paese, desideroso di spiare dal buco della serratura le vite sentimentali degli altri, pur di non dover analizzare le proprie, a discapito di tutte le altre sfumature dell’amore.

E così anche quest’anno Temptation Island ci ha messi di fronte a storie d’amore tossiche in cui l’uomo di turno tradisce la propria partner e allo stesso tempo le impedisce di uscire e vedere gli amici, per pura gelosia. O ancora, la donna di turno che nonostante venga lasciata più e più volte dal proprio fidanzato, tende a perdonarlo, perché vittima della sindrome della crocerossina.

Amori tossici che tendono dunque a riportare la donna in uno stato di inferiorità di fronte ad un uomo che tutto può e che non deve mai chiedere scusa, salvo piccole eccezioni. Uomini che strumentalizzano il corpo della donna o che esprimono tutta la loro frustrazione non attraverso il dialogo bensì tirando calci e pugni all’arredamento del set, trasferendo agli spettatori un messaggio anacronistico in cui l’uomo alfa (ma poi siamo sicuri che non sia un’offesa verso i veri maschi alfa?) deve essere rude, volgare e talvolta aggressivo per conquistare le donne.

Per non parlare della totale assenza delle coppie omosessuali, mai prese in considerazione – come invece accade all’estero, ad esempio in Love Never Lies o L’ultimatum: Queer Love -, portando avanti di fatto un racconto stereotipato della società italiana in cui viene totalmente censurata la comunità LGBTQIA+ che invece potrebbe tranquillamente far parte della narrazione del format Temptation Island. A tal proposito, seppure in ambito cinematografico, qualche giorno fa Andrea Occhipinti ha lamentato una pronunciata timidezza anche da parte di Rai e Mediaset a proposito delle pellicole queer (leggi qui).

 

 

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Come sarebbe una versione queer di Temptation Island?

Ora facciamo un esperimento: chiudete gli occhi solo per un secondo e provate ad immaginare se Temptation Island fosse un docu-reality nel quale i protagonisti fossero coppie eterosessuali, gay, lesbiche, bisessuali, transgender o di qualsiasi altra identità queer, rappresentando di fatto a 360° tutto lo spettro dell’identità umanamente possibile e legittima.

Le dinamiche sociali sarebbero esattamente le stesse della versione classica, ma Temptation Island Queer avrebbe il valore aggiunto di accendere i riflettori su una comunità, quella LGBTQIA+, ancora troppo poco esplorata dal piccolo schermo, se non con un racconto stereotipato. Avremmo il prezioso contributo di un programma popolare che porterebbe in tv le sfide affettive, nevrotiche, problematiche, ma anche positive e sentimentalmente complicate che le coppie queer tendono ad affrontare nella loro vita quotidiana.

Sarebbe quindi l’occasione per dare risalto alla normale vita affettiva di coppie LGBTQIA+, così come a coming out, storie di discriminazione o stereotipi, consentendo di fatto alle coppie di affrontare e superare le difficoltà legate alla loro sessualità o identità di genere, esattamente nello stesso modo in cui oggi accade alle coppie eterosessuali nella versione classica del docu-reality prodotto dalla Fascino di Maria De Filippi.

Cosa ci sarebbe dunque di male? Assolutamente nulla perché rappresenterebbe tutte le forme d’amore, da quelle cui siamo abituati sin da bambini a quelle che solo in questi ultimi anni stiamo imparando a conoscere e ad apprezzare  nella loro ancora timida visibilità – e soprattutto a rispettare – anche grazie ai prodotti audiovisivi diffusi in molti Paesi del mondo (tranne che in Italia dove per l’appunto le coppie omosessuali tendono ancora a faticare a trovare un posto).

L’obiettivo di questa versione queer di “Temptation Island” potrebbe quindi essere quello di offrire una rappresentazione inclusiva delle relazioni queer, educando il pubblico e promuovendo l’accettazione e il rispetto per la diversità delle identità di genere e delle preferenze sessuali. D’altronde le crisi di coppia, i tradimenti, le bugie, fanno parte di qualsiasi storia d’amore.

Ahimè, però, al momento risulta davvero difficile immaginare l’effettiva realizzazione di una versione queer di Temptation Island: nostro malgrado dobbiamo quindi accontentarci della classiche storie d’amore eterosessuali, dove per altro sembrerebbe che sia sempre e solo la donna a subire? Su questo ultimo punto, il nostro auspicio è di vedere evoluzioni meno maschiliste nel programma in corso.

 

 

 

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