È arrivata praticamente dal nulla, in sordina, con una promozione pari allo zero quantico, American Horror Story: New York City, undicesima stagione dello show FX che ha riunito ancora una volta Ryan Murphy e Brad Falchuk. Le prime due puntate andate in onda negli USA nei giorni scorsi hanno ribadito quanto anticipato dalla sinossi ufficiale e dai primi poster. NYC è senza ombra di dubbio la stagione più queer di sempre.
L’intera serie si svolge nella Grande Mela dei primissimi anni ’80, con una serie di spaventosi omicidi che affliggono la comunità gay. Russell Tovey e Joe Mantello interpretano Patrick e Gino, agente di polizia non dichiarato il primo e giornalista attivista LGBTQI+ il secondo, romanticamente coinvolti. Charlie Carver fa il suo debutto in AHS nei panni di Adam, ragazzo gay che indaga sulla scomparsa del suo migliore amico Sully (Jared Reinfeldt), mentre Isaac Cole Powell e Zachary Quinto interpretano Theo, fotografo di aitanti uomini gay, e Sam, suo manager e fidanzato. Sandra Bernhard interpreta Barbara, leader di una cricca di lesbiche che chiede maggiore visibilità per le donne queer nella rivista di Gino. Patti LuPone, infine, è una cantante d’altri tempi che canta dal vivo in saune gay, mentre un uomo muscoloso con maschera di pelle chiamato “Big Daddy” terrorizza la comunità della città.
Ambientato nel 1981, questo nuovo American Horror Story denuncia la totale mancanza di protezione per le persone LGBTQ+ di quegli anni, con la polizia totalmente disinteressata alle violenze, agli omicidi, alla caccia all’omosessuale che prese forma con il silenzio-assenso delle autorità. “La polizia della Grande Mela odia gli omosessuali”, grida Gino dopo essere stato rapito, drogato e rilasciato dal potenziale assassino, mentre anche le donne lesbiche sgomitano per avere maggiore considerazione, perché vittime di discriminazione.
A giudicare dalle prime due puntate, questa undicesima stagione appare meno horror e più crime delle altre. C’è almeno uno psicopatico in città, la polizia che indaga, la stampa queer che prova a smuovere le acque, giovani omosessuali pronti a combattere pur di far emergere la verità. Il rischio, come troppo spesso capitato con le creature ideate da Ryan Murphy e Brad Falchuk, è l’eccesso di carne sul fuoco, il non saperne gestire la cottura e il conseguente tracollo. In un’ora e mezzo si sono già dipanate tante, troppe sottotrame, con misteri ampiamenti seminati e la traccia legata all’hiv apparentemente faticosamente gestibile. La scienziata interpretata da Billie Lourd, Hannah, sta indagando su una potenziale epidemia a Fire Island e incarica di sterminare tutti i cervi infetti come precauzione. Ma quell’epidemia parrebbe essere già partita, coinvolgendo anche gli esseri umani e in particolar modo la comunità gay di New York. Negli ultimi istanti del secondo episodio, Hannah viene informata da Barbara, interpretata da Sandra Bernard, che “un gruppo di persone vulnerabili è sotto attacco dal governo degli Stati Uniti”.
Ci mancava il lato cospirativo, all’interno di una stagione che parrebbe essere molto meno inquietante rispetto a stagioni passate, vedi Asylum, e assai meno intelligentemente terrificante come Roanoke. Complessivamente, una stagione di sangue pensata da Murphy e Falchuk per denunciare ancora una volta l’omotransfobia d’America nei primi anni ’80, come già visto in Pose, in grado di coinvolgere non solo l’ambito sociale ma anche quello puramente politico e associativo, con una classe dirigente totalmente disinteressata alla pandemia da hiv, perché inizialmente apparentemente distante dalle persone bianche eterosessuali cisgender e la polizia in prima linea nel non voler porre un freno alla mattanza quotidiana di una comunità. Realtà denunciata anche con il più recente Dahmer.
Otto gli episodi previsti, l’ultimo dei quali andrà in onda negli Usa il 9 novembre, con Jennifer Lynch alla regia. In Italia American Horror Story: NYC dovrebbe andare in onda su Disney+.
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