La Bielorussia e in particolare il suo presidente (o dittatore), Aleksander Lukashenko, stanno dando il meglio di sé, in questi giorni. Le elezioni del 9 agosto lo hanno riconfermato ancora una volta, come accade dal 1994. Ma questa volta, i brogli sono palesi e la popolazione non ci sta più. Ed è scesa in piazza a protestare.
E mentre la Polizia ha caricato i manifestanti, arrestandoli e torturandoli secondo molte testimonianze, Lukashenko sembra non preoccuparsene, almeno esteriormente. Ma sa bene che le manifestazioni stanno bloccando l’economia del Paese, il mondo intero lo guarda, arriveranno presto delle sanzioni. E sa bene che deve prendere tempo. Per questo ha aperto a nuove elezioni (ma dopo alcune riforme costituzionali).
Ma Aleksander Lukashenko dal 1994 gioca con la Bielorussia. E con i suoi abitanti. Anche quelli LGBT.
La Bielorussia e il dittatore Lukashenko non sono affatto clementi con la nostra comunità. Le persone LGBT devono rimanere nascoste. Nel 2012, Lukashenko ha ribattuto al ministro degli Esteri tedesco (apertamente omosessuale) Guido Westerwelle “meglio dittatore che gay“. Un presidente che non ha alcuna intenzione di pensare alle persone LGBT, che in Bielorussia è come se non esistessero. Nessuna tutela, nessun riconoscimento. L’omosessualità, sebbene legale proprio dal 1994, è considerata dalla maggioranza una malattia psichiatrica. Se decidi di vivere la tua sessualità alla luce del sole, devi abituarti a molestie, discriminazioni e botte.
Dall’inesistenza della comunità LGBT agli attacchi nella Bielorussia omofoba
Lo stato è contro la comunità LGBT. I siti dedicati vengono periodicamente oscurati, nel 2003 un hacker ha bloccato diversi siti LGBT, inviando minacce di violenza fisica ad alcuni attivisti. Dal 1998 al 2002, era presente anche una rivista LGBT, bloccata poi dal Comitato Editoriale di Stato.
Dal 1999 al 2009, molti attivisti hanno cercato di organizzare una parata e degli incontri. Ma solamente 4 eventi si sono potuti tenere, nonostante le interferenze della Polizia e di gruppi di vandali omofobi, pronti a distruggere il duro lavoro delle associazioni (non riconosciute a livello statale).
Insomma, se da una parte la politica non intende fare nulla a favore della comunità LGBT, dall’altra lo Stato cerca addirittura di eliminarla, facendola sopravvivere a stento, di nascosto. Sono inesistenti per l’esercito, per la donazione del sangue. Una vita nascosta, che porta a un tasso di suicidio molto alto, senza nemmeno un aiuto psicologico per chi sceglie quella via. Ma per la Bielorussia, non ha importanza.
La testimonianza di Andrei
In una testimonianza, Andrei Zavalei ha raccontato cosa significa vivere in Bielorussia da omosessuale.
Andrei ha passato parte della sua vita nascosto. La paura di essere picchiato e magari ucciso non gli consentiva di sentirsi al sicuro. Solo nel 2014 è riuscito a uscire allo scoperto, conscio di quello che gli sarebbe successo. Perché proprio in quell’anno?
Per Mikhail Pishevski. Un ragazzo omosessuale. Viene picchiato, davanti a un locale, a maggio del 2014. Una furia cieca, che lo riduce in fin di vita. Resta in coma un mese, subisce un delicato intervento alla testa. Poi, rimane paralizzato. Funzioni vitali minime. Il suo corpo non ce la fa più nell’ottobre del 2015.
Per questo omicidio, il responsabile è condannato a 2 anni e 8 mesi, ma farà solamente 11 mesi di carcere.
Andrei, in ricordo di Mikhail, ha deciso di lottare. È pronto a subire tutte le discriminazioni e le violenze, ma vuole fare qualcosa per la sua Bielorussia. Perché vuole che il suo sia un Paese civile.
Una Bielorussia gay-friendly, insomma. È chiedere troppo?
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