È l’unica donna ad aver vinto un Premio Nobel scientifico nel 2022 e ha origini italiane. Il suo nome è Carolyn Bertozzi, ha 56 anni ed è una ricercatrice di chimica presso la Stanford University. Il Nobel per la Chimica le è stato assegnato insieme a Barry Sharpless della Scripps Research e Morten Meldal dell’Università di Copenaghen.
Discendente da una famiglia di scienziati, con il padre famoso ricercatore di fisica nucleare Istituto di Tecnologia del Massachussets, MIT, Carolyn è anche membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, dell’Istituto di Medicina e dell’Accademia Nazionale degli Inventori. Con questo riconoscimento è diventata l’ottava donna nella storia a vincere il Nobel per la chimica. Ah, un’altra cosa. Carolyn Bertozzi è apertamente lesbica.
Looking forward to the big event @TheWistar ! https://t.co/Nt3uzQV9jB
— Carolyn Bertozzi (@CarolynBertozzi) October 10, 2022
È molto riservata e tiene alla sua privata, ma ha reso pubblico che vive con la moglie, con cui è sposata ufficialmente da diversi anni, ufficiosamente da molti di più. Le due hanno tre figli, il primo nato poco prima che gli elettori della California approvassero la Proposition 8, che vietava il matrimonio tra persone dello stesso sesso nello stato, nel 2008. Nel suo profilo su Stanford Magazine, ricorda quando il figlio aveva due mesi e alla tv passano pubblicità contro il matrimonio gay. La preoccupazione era quella che i suoi diritti di genitore non sopravvivessero alle elezioni.
«Non voglio mai essere tipo: “Beh, tutto questo è dietro di me; ora sono proprio legale come tutti gli altri”. No, non credo che questo faccia un servizio a nessuno»
Il suo obiettivo, oltre alla ricerca scientifica, è quello di essere un modello come scienziata lesbica per tutte quelle donne queer che hanno paura ad affrontare il mondo delle STEM, le discipline scientifico-tecnologiche come vengono chiamate negli Stati Uniti. E ce n’è sicuramente bisogno. Basti pensare che nel 1999, quando ha vinto il premio MacArthur insieme al suo gruppo di lavoro, un giornale incaricato di intervistare i vincitori ha fatto delle domande anche alle loro consorti. Le mogli dei colleghi sono comparse nell’articolo, la sua no perché all’epoca era considerato ancora troppo audace.
Il suo percorso di donna lesbica in un mondo accademico estremamente dominato dagli uomini come quello delle scienze non è sicuramente stato facile. Negli anni, episodi di discriminazione ci sono stati e ricorda anche come ogni volta che a un convegno le veniva posta la domanda sulla sua esperienza come scienziata lesbica, l’atmosfera si faceva più tesa: «Non sono mai stata invitata in ambienti omofobi, però».
Anche se negli anni le cose sono migliorate, Carol non dimentica come tanti non abbiano avuto la sua stessa fortuna. In una recente intervista con c&en, ha affermato: «L’omofobia esiste ancora. Sono stata relativamente privilegiata e protetta, ma se esci dagli Stati Uniti o dal Canada, ci sono posti in cui sei ancora punito per essere gay, anche con la morte. Non dovremmo mai perdere di vista il fatto che la scienza è internazionale»
Carol ha capito di essere lesbica a 18 anni, quando gli Stati Uniti si trovavano nel pieno della crisi causata dall’AIDS ed essere queer non era certamente visto di buon occhio. Era però pronta a trasferirsi nella Bay Area per studiare nell’Universitò di Berkeley, un ambiente che solitamente è molto inclusivo. Per questo, con un po’ di ironia, racconta che «sorprendentemente, però, essere una donna era ed è tuttora peggio che essere una lesbica».
Sembra strano a sentirlo dire, ma la spiegazione è molto semplice. Nella sua esperienza, Carol ha vissuto prima di tutto il fatto di essere una minoranza come donna, l’essere lesbica veniva dopo. Ricorda come alla fine degli anni Ottanta, quando aveva iniziato a lavorare in un laboratorio di chimica dell’università, c’erano solo altre due donne. In generale, a quei tempi, solo il 10% degli studenti erano donne.
«Eravamo una tale minoranza, quindi abbiamo cercato di sostenerci a vicenda avviando un incontro mensile per tutte le studentesse del dipartimento. Per pubblicizzarlo, abbiamo affisso poster, poiché Internet non esisteva all’epoca. Nel giro di poche ore sono stati vandalizzati con insulti sessisti. Era così ostile. Oggi abbiamo a che fare con i troll di Twitter»
Come dice Carolyn, i tempi sono cambiati ma c’è ancora molto lavoro da fare. Il suo esempio, però, è uno di quelli che spinge a voler continuare senza fermarsi. Ed è anche l’ennesima vittoria per la comunità.