31 anni appena, Lukas Dhont è senza ombra di dubbio uno degli astri nascenti della cinematografia internazionale. Nel 2018 esordiente con Girl, sbancò Cannes con Queer Palm, Caméra d’or e premio Fipresci. Nel 2022 è tornato sulla Croisette con Close e al debutto in Concorso si è portato a casa un più che meritato Grand Prix Speciale della Giuria, puntando ora gli Oscar del 2023. Il tema dell’accettazione di sè puntualmente segnata dal bullismo adolescenziale già abbracciato in Girl torna con Close prepotentemente in scena grazie all’amicizia fraterna tra Leo e Remi, tredicenni da sempre inseparabili.
Dormono insieme fianco a fianco, giocano e fantasticano tutti i pomeriggi, corrono in bici come pazzi, ridono e scherzano, guardandosi intensamente tra silenzi imbarazzati che ingenuamente parrebbero non cogliere quel sentimento inedito e reciproco, sconosciuto, fino a quel momento mai espresso. Poi tutto improvvisamente cambia con il primo anno di scuola, tra nuovi compagni di classe che da subito chiedono loro se siano una coppia. Se siano fidanzati. Alle domande si sommano gli sfottò, gli insulti omofobi, che fanno sorgere crepe fino a quel momento mai neanche lontanamente prese in considerazione. Leo si chiude in sè stesso, sfugge da quell’immagine e si allontana da Remi, che non capisce cosa stia accadendo, perché l’amico di una vita ora lo eviti, fino alle più estreme e drammatiche delle conseguenze.
È un’opera dolcissima e al tempo stesso devastante, quella scritta e diretta da Dhont, bellissima e così delicata, dinanzi ad un tema tanto drammatico e dal facile ricatto morale. Un coming of age che riporta al cinema di Céline Sciamma, segnato dagli sguardi tra i protagonisti e dai grandi e azzurri occhi di un debuttante a dir poco stupefacente. Eden Dambrine, adolescente su cui Dhont poggia l’intero peso del film, affidandosi ciecamente a lui, al suo riuscire straordinariamente a trattenere emozioni, fino ad un pianto liberatorio che arriva solo e soltanto dinanzi ad un braccio rotto, come se ci volesse un dolore fisico per giustificare delle lacrime da cuore spezzato, da abbandono, amicizia infranta e senso di colpa, da identità probabilmente rifiutata.
Con Close, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione autonoma Alice nella Città, Dhont ha buttato giù una partitura emotiva che cresce costantemente di scena in scena, raccontando la storia di un’amicizia che appariva indistruttibile, inattaccabile, fino all’arrivo di una tossica mascolinità che si fa largo sin dai banchi di scuola, travolgendo i due protagonisti. Perché le parole fanno male, il più delle volte ancor più di un pugno. L’esuberante Léo fatica a digerire l’etichetta di omosessuale appena accennata al suo primo giorno in classe, iniziando così a fare sport considerati ‘virili’ come l’hockey sul ghiaccio e il calcio, allontanandosi dal dolce e più riflessivo Remi, interpretato da un altrettanto bravissimo Gustav De Waele, sorriso abbagliante che nasconde fragilità mai esplicitate e tenerezza nello sguardo.
L’orientamento sessuale dei due 13enni non diventa mai l’asso centrale della pellicola, perché da loro stessi ancora probabilmente mai del tutto colto e perché è proprio l’accettazione di quell’etichetta, propria e altrui, a segnare l’esistenza di due famiglie, di una madre che non riesce a capire, di un padre che fatica ad andare avanti, di un ragazzino che si nasconde dietro un tormento indicibile, chiudendosi a riccio all’interno di un’armatura scura che possa proteggerlo dal lacerante dolore. Quella profonda amicizia per anni vissuta con assoluta spensieratezza e innocenza da parte di Leo e Remi viene improvvisamente intaccata dalla maliziosa ed esplicitata rilettura dei compagni di classe, che a parole evidenziano bruscamente ciò che gli stessi Leo e Remi non hanno ancora forse del tutto colto, perché nient’altro che pre-adolescenti che giocano tra i colorati campi in fiore con un bastone di legno, sfiancandosi di corse e risate.
Emile Dequenne, Léa Drucker e Kevin Janssens completano un cast in stato di grazia, a conferma dell’invidiabile capacità di Dhont nel condurre i propri attori, giovani o adulti che siano, all’interno di un quadro che ritrae sentimenti contrastanti, rappresentantivi di una generazione ancora oggi segnata dal bullismo, frenata dall’odio gratuito, dallo sfottò da branco, da un’omologazione che si tramuta in derisione se non pubblicamente ostentata. L’identità è al centro di un dramma che abbraccia la paura di sè e del giudizio altrui, fragilità e rimpianti, l’elaborazione di una perdita, disperazione e perdono.
Visivamente potente, diretto con grazia e straordinariamente emozionante, Close, in arrivo in Italia nel 2023, è senza ombra di dubbio uno dei migliori film dell’anno.
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