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A distanza di pochi giorni dall’affossamento del ddl Zan in Senato, sono state numerosissime le manifestazioni e le Piazze occupate in tutta Italia. E numerosissime sono quelle che ogni giorno si aggiungono alla già copiosa lista e che si svolgeranno nelle prossime settimane.
Siamo scesi, e scenderemo in piazza, da Milano a Palermo, perché siamo stati nuovamente delusi dalle scelte della classe politica italiana. Abbiamo, per l’ennesima volta, capito quanto alcuni rappresentanti delle nostre Istituzioni siano indietro rispetto alla società civile, rispetto ai tempi che corrono e alle nuove generazioni che non vogliono più un mondo elitario, escludente e pieno di pregiudizi.
È proprio di oggi una lettera al direttore del Foglio, scritta dal giornalista Michele Masneri, in cui con un simpatico parallelismo con il padre, incapace ad usare le nuove tecnologie, fa notare che
“C’è un’età, biologica o percepita, in cui smettiamo di interessarci di alcuni aspetti della vita, ritenendoli secondari, capita a tutti”, e riferendosi al ddl Zan “Bisogna fare una cosa più semplice, la prossima volta. Insomma, urge un ddl Brondi? Con manuale di istruzioni?”.
È questo un momento in cui alcuni dei nostri rappresentanti hanno dimenticato, o mai imparato, il significato della parola Democrazia. Ora, è più che mai confusa la sua natura.
Quanta Democrazia c’è in ciò che è successo lo scorso 27 ottobre in Senato? Che idea di Democrazia c’è in alcuni discorsi dei rappresentanti delle nostre Istituzioni?
Non è più tollerabile questo sistema basato sulla legge del più forte, sul binomio preda-predatore. E non importa quanti diranno che secondo natura è così che funziona; un Paese democratico, e in particolare chi rappresenta una comunità, deve interloquire costantemente con i cittadini, deve essere la loro cassa di risonanza e non un ostacolo continuo sulla strada verso l’uguaglianza, verso un territorio in cui tutti possano sentirsi sullo stesso piano e confrontarsi liberamente.
A leggerli sembrano discorsi banali, parole trite e ritrite che non introdurranno nulla di nuovo nel dibattito pubblico. Ma forse è proprio questo il punto. Si torna sempre a concetti già pensati, già scritti, già digeriti, anche se mai messi in pratica. Si torna sempre a ciò che sembra semplice, netto, chiaro, perché è lì che si nasconde parte della verità. Sono proprio quei concetti che illuminano le zone oscure della nostra Storia.
Abbiamo manifestato, e manifesteremo, feriti da quegli applausi in Senato che come è stato riportato su alcuni manifesti sono stati come dei coltelli, non solo verso la comunità lgbtqia+, o tutte le categorie che il DDL Zan avrebbe protetto, ma verso tutti i cittadini italiani. Perché quando anche solo uno di noi è a rischio tutti siamo più deboli, più fragili; siamo un corpo mal funzionante, che continua a trascinarsi ma che presto soccomberà.
L’Italia sui diritti e le tutele verso i propri cittadini, ha sempre dimostrato resistenza e scetticismo. Quarant’anni fa in Norvegia veniva approvata una legge contro l’omotransfobia e nel 2021, nel nostro Paese, siamo costretti ad ascoltare senatori affermare con grande orgoglio che
“Questa legge mi impedirà di manifestare liberamente la mia omofobia”,
o altri ancora che continuamente tirano in ballo Dio e il Cristianesimo, facendo sfoggio di un credo che evidentemente manca o è carente nelle sue parti essenziali, quelle più umane, più caritatevoli, di umiltà e accoglienza.
Quella a cui ancora assistiamo nelle sedi Istituzionali è una festa dell’insignificanza, un teatro continuo in cui maschere e personaggi continuamente cambiano la loro posizione e il loro ruolo. È un gioco di potere, e questo si sa, sarebbe assurdo sorprendercene. Ma siamo stanchi di subirne continuamente le conseguenze, di essere messi in secondo piano, oscurati dall’ottusità di un sistema che non vuole ascoltarci.
Siamo tornati a occupare lo spazio pubblico con i nostri corpi sofferenti e stanchi, ma sempre in prima linea nella lotta per i diritti. Siamo uniti e arrabbiati. È stato meraviglioso essere tutti insieme in Piazza a manifestare. Dà speranza vedere i video e le foto che arrivano da tutte le città italiane. A 50 anni della fondazione del movimento FUORI, non possiamo che lottare nuovamente e farci sentire sempre più forte.
C’è un Paese che sa ciò che vuole. C’è un Paese che desidera andare avanti, tendere una mano, abbracciare, accogliere. C’è un Paese che va in tutt’altra direzione rispetto a molti dei nostri rappresentanti. C’è un Paese arrabbiato, di una rabbia creativa, certamente amara, ma piena di speranza. C’è un Paese che vuole creare ponti, che vuole rendere i confini territorio di scambio e non muri invalicabili. C’è la Storia che farà il suo corso e travolgerà chi se ne sta arroccato nel proprio recinto di privilegio.
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