“Il destino di Elettra Lamborghini sembrava scritto da diverso tempo: la ragazza non aveva intenzione di stare con le mani in mano e godere della ricchezza della sua famiglia, ma aveva voglia di costruirsi un’immagine pubblica che rispecchiasse la sua intraprendenza e anche il suo talento”
Così si legge su un titolo su una rivista nostrana, che celebra i successi di Elettra Lamborghini, girlboss nel mondo del business e della musica. Ed è innegabile che sia così: la ricca ereditiera ha una propria carriera musicale di successo, e in futuro diventerà proprietaria di una casa automobilistica multimilionaria.
Ma dobbiamo anche ricordarci che Elettra, proprio come diverse donne in carriera idolatrate dal femminismo moderno, è già nata coperta di soldi. Non che questo sia colpa loro, tuttavia, urge prendere le distanze da una cultura tossica che l’ideale girlboss promuove.
Ecco perché le frasette motivazionali sui social – condivise spesso da rappresentanti di network marketing sottopagate – non hanno più lo stesso effetto di qualche anno fa.
Nessuno nega il duro lavoro che c’è dietro a una carriera fruttuosa come quella di Lamborghini, ma è molto più facile partire da un ambiente già favorevole e prestigioso.
Il femminismo girlboss: convincere le donne a lavorare di più senza nessuna garanzia di successo
L’idolatria verso questo tipo di figura è il problema principale del femminismo girlboss, ovvero quello che celebra le donne di successo che riescono ad abbattere gli ostacoli e a “farcela lo stesso”, a scapito delle avversità. E se non ce la fai, come dice Kim Kardashian “Devi solo alzare il cu*o e lavorare“.
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Tuttavia, riuscirci non è così semplice e mainstream come questo tipo d’idea vuole farlo sembrare. Una donna realizzata su centinaia di migliaia non cambia l’ambiente di oppressione sistematica incontrato dalle donne in tutti gli ambiti lavorativi.
Infatti, l’obiettivo del femminismo girlboss non è il disrompere tutta una serie di ostacoli, ma di avere successo nonostante la loro presenza.
Una girlboss non ha nessuna intenzione di cambiare il sistema per aiutare l’intera categoria femminile, ma solo per il proprio tornaconto, beneficiando peraltro di tutte quelle strutture che ancora oggi impediscono ai più di avere successo.
Non c’è infatti da sorprendersi se tutte le girlboss che arrivano sulle prime pagine dei giornali di gossip sono generalmente bianche, cisgender, attraenti e già ricche di per sé. Uno status irraggiungibile dalla maggior parte delle donne che le idolatrano.
A questo tipo di femminismo non interessa combattere la diseguaglianza di salario, le molestie sul posto di lavoro e le condizioni lavorative pessime. Ignora la questione intersezionale, e sfrutta il privilegio per distinguersi dalla massa, invece che agire per abbatterlo.
La differenza abissale tra Kim Kardashian, Elettra Lamborghini e la donna comune
Sì, per arrivare dov’è una Kim Kardashian ha lavorato solo – ma dispone anche di uno stuolo di cameriere, babysitter, cuochi e autisti, nonché della sicurezza di cadere sempre in piedi.
Far passare il messaggio che se non si ha successo non si sta solo lavorando abbastanza è incredibilmente deleterio, perché ignora i condizionamenti esterni ostacolo per il successo.
Fattori che non hanno mai intralciato le persone nate nel privilegio.
La vera radice del femminismo girlboss
Negli ultimi anni, il concetto di girlboss è esploso, anche favorito da multinazionali e aziende senza scrupoli. È un termine accattivante per dimostrare apertura, supporto al mondo femminile e inclusività, continuando però a sfruttare donne illuse sotto strati e strati di glitter rosa.
Donne che mostreranno fiere una maglietta targata girlboss comprata in fast-fashion e cucita da un bambino denutrito del Bangladesh.
E alla maggior parte di esse non importerà nulla del vero femminismo, perché saranno troppo impegnate ad abbattere ostacoli insormontabili per una persona non nata con la camicia. Ma quando se ne accorgeranno, avranno già buttato via un bel po’ del loro tempo.
Per intenderci, la primissima girlboss potrebbe benissimo essere stata Margaret Tatcher, la lady di ferro, che sicuramente ha abbattuto gli ostacoli patriarcali fino a diventare primo ministro britannico, ma che si è poi rivoltata contro il suo stesso genere e le minoranze adottando politiche discriminatorie a tappeto.
Ecco perché questo particolare tipo di femminismo è in realtà uno schema ben congegnato da coloro che non hanno bisogno del femminismo, per tenere giù determinate fasce di popolazione e denigrarle quando non arrivano al successo per detenere il controllo su di esse.
È in realtà figlio del patriarcato interiorizzato, che chiede alle donne di lavorare al suo interno e di sfruttarne eventuali benefici rivolti solo a chi nasce già privilegiato, non di abbatterlo.
Quindi perché dovremmo mettere sul piedistallo delle figure così lontane da noi da essere – oggettivamente – irraggiungibili? Si tratta di una direzione pericolosa, perché schiava dello stesso sistema che non permette ai più di raggiungere il tanto agognato successo – o anche solo condizioni di vita sopportabili.
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