Cosa significa essere visti? Cosa vedono le persone che ci amano?
Che ruolo giocano nella scoperta di noi stessi?
In Look at me like you love me, Jess T. Dugan cerca di raccontare come le nostre identità si modellano insieme alle persone che abbiamo al nostro fianco: “Essere in una relazione ci rende naturalmente vulnerabili” spiega l’artista in un’intervista per AnOther Magazine: “Quello che vogliamo è essere amate, desiderati, che qualcuno si prenda cura di noi. Siamo tutti alla ricerca della nostra identità attraverso gli occhi dell’altra persona”.
La raccolta fotografica, è una “poesia visiva” di 108 pagine, dove senza spiegazioni o retroscena, a parlare sono le immagini. Ogni foto ritrae Dugan con partner, amici, persone che hanno incontrato negli anni. In alcune foto i modelli guardano intensamente l’obiettivo, in altre l’obiettivo guarda loro: sole in una landa desolata, nella propria camera, attorcigliati nel corpo della persona che amano.
Dugan ha sempre cercato di cogliere gli aspetti più indicibili della realtà queer. Sin da quando era adolescente, la fotocamera è diventato un mezzo per comprendersi, esplorare la propria identità e osservarsi da mille angolazioni diverse. In Look at me like you love me non c’è l’urgenza di trovare una definizione giusta: le immagini non hanno fretta di racchiudere chi siamo dentro un’etichetta, ma ci permettono di imparare a riconoscerlo: “Queste fotografie non vogliono affermare l’identità di una persona, quanto di viverla” spiega ad AnOther Magazine.
Ogni foto è accompagnata da piccoli flussi di coscienza, estratti di poesia, pagine di diario, scollegate dalle immagini o ricollegabili a libera interpretazione del lettore: l’assenza del padre di Dugan, desiderare una persona fino a consumarci, il funerale di qualcuno che amavamo. Dugan non non è interessato a dirci chi parla di chi, invitando ad immergerci ancora di più nel libro, e lasciare ogni scatto in balia del nostro sguardo. Più che fornire risposte, a Dugan interessa salvare queste persone dallo scorrere del tempo, incastonarle nella memoria e farci sapere che erano davvero lì.
“Tu eri sempre difficile da fotografare.” scrive in un estratto: “Eravamo insieme, e ci ho provato e riprovato finché non ha funzionato, e ho creato una testimonianza del tuo corpo in cambiamento“. Perché una fotografia non è sufficiente per dire che siamo, e Dugan sa che anche con la fotocamera bisogna persistere, riprovare a guardare di nuovo e scorgere qualcosa invisibile la prima volta. Come quando conosciamo qualcuno. Non basta un incontro e nemmeno due, lo scopriamo giorno dopo giorno attraverso mille prospettive diverse, finché non riusciamo a vederlo davvero.
“Voglio dirti delle cose. Voglio farti conoscere la mia storia” scrive Dugan nella prima pagina del libro: “C’è così tanto che non riesco a dire attraverso le mie fotografie, anche se è tutto lì. Appena sotto la superficie, se sai cosa guardare”.
Leggi anche: Vintage Queer, fotografie private di un passato già fluido
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.