Può un candidato elettorale provare ad essere inclusivo senza che la Destra immediatamente si scagli all’attacco? La risposta è no. È quasi tempo di elezioni regionali, che si terranno il 12 e 13 febbraio – subito dopo un Festival di Sanremo che già è più queer che mai e più criticato che mai sempre dagli amici sovranisti –, e Pierfrancesco Majorino è il candidato scelto dal Partito Democratico per correre alla presidenza della regione Lombardia.
Lo scrittore ed europarlamentare ha iniziato una campagna elettorale all’insegna del “cambiare tutto”, per costruire per i cittadini lombardi una regione più funzionale e ordinata. All’interno del suo programma ci sono anche iniziative per quelli che sono alcuni dei grandi temi sociali che riguardano inclusione e lotta alla discriminazione. Questa parte è quella che è piaciuta un po’ meno agli ambienti di Destra e Majorino è stato pesantemente attaccato da un articolo di Massimiliano Parente pubblicato il 22 gennaio su “Il Giornale”.
Il capo d’accusa vede Majorino colpevole di essere stato “murgizzato” per aver introdotto lo schwa nei manifesti elettorali del Pd in Lombardia. In realtà, si tratta solo di due manifesti che annunciano un incontro per la “presentazione dellə candidatə giovani”, intervistati dallo stesso Majorino e da Cathy La Torre. Parente, scrittore, si è lanciato in un’arringa volta a dissacrare lo schwa e il suo utilizzo, facendolo diventare un elemento introdotto e usato solo dal movimento femminista, di cui prende la scrittrice Michela Murgia come esempio simbolico.
Le precisazioni sul fatto che lo schwa sia in realtà diventato parte integrante del linguaggio della comunità LGBTQIA+ per una questione di inclusione della fluidità di genere è in questo momento superfluo, soprattutto quando si grida a un complotto sociale organizzato proprio dalle femministe. Scrive infatti Parente su “Il Giornale”: «Leggete bene, hanno usato la schwa […] l’orribile simbolo usato dalle femministe murgiche e anche l’unico apporto della Murgia e delle femministe schwastiche che la seguono alla letteratura italiana».
Manifesti per le regionali in Lombardia per conquistare le giovani schwastiche: il PD si è murgizzato. Il mio commento sul Giornale. pic.twitter.com/HgXcdVRsWe
— Massimiliano Parente (@parentetweet) January 22, 2023
Tra parentesi, proprio tra le parole “schwa” e “orribile”, Parente si lascia andare anche a un piccolo commento il quale, più che leggersi come una sarcastica battuta, è molto più indicativo della poca conoscenza del layout di una tastiera del diretto interessato. Chiosa infatti Massimiliano Parente: «(io ho dovuto fare copia e incolla da Google perché sulla mia tastiera maschilista la schwa non c’è, neppure nei simboli di Word, Microsoft resisti)».
Davvero lo schwa fa così paura? Ed era davvero necessario coniare il termine “schwastica”, che in modo riduttivo definiamo di poco gusto e offensivo nei confronti di più parti? E sì, è un termine che viene ripreso in più punti dell’articolo su “Il Giornale”, con cui si fa di tutta l’erba un fascio e si uniscono “scwhastiche” e asterischi, la “h” e la “y” di Cathy La Torre e la “j” nel cognome di Majorino come se fossero questi tutti i mali del mondo.
Che poi, tutto questo accanimento nei confronti dello schwa è davvero ridicolo e l’attacco al tentativo di inclusione dei manifesti del Pd non regge nemmeno quando Parente cita l’esperimento della giornalista Flavia Fratello, che non è riuscita a leggere ad alta voce un articolo di Michela Murgia scritto con lo schwa, «perché leggendolo viene fuori una pronuncia mezzo napoletana senza che però faccia ridere come Massimo Troisi». Certo, viene da dire, l’uso dello schwa si sta ancora costruendo e trasformando e per il momento è chiara solo la sua funzione nello scritto.
«Fa ridere invece un partito come il Pd abbia pensato di farci i manifesti elettorali», commenta in conclusione Massimiliano Parente su “Il Giornale”, e invece fa più ridere come un semplice simbolo che altro non vuole se non far sentire tuttə rappresentatə anche nella lingua italiana possa essere motivo di tanto astio, tanto da scriversi un pezzo di polemica di cui si poteva anche fare a meno.
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