Perché la polemica sulle atlete trans non sta in piedi

Nonostante il regolamento CIO, le atlete trans scomodano ancora dubbi e transfobia. Ecco perché questa indignazione non ha senso.

Perché la polemica sulle atlete trans non sta in piedi
Lia Thomas, atleta nuotatrice
3 min. di lettura

Lia Thomas è la nuotatrice che da qualche anno continua a stracciare record su record presso l’Università della Pensylvania.

Tutto bello, se non fosse che Thomas è transgender e questo genera almeno una polemica al giorno: prima Cynthia Millen, dirigente di Usa Swimming, che ha definito la partecipazione di Thomas “la distruzione dello sport”.
Ha continuato Micheal Phelps, olimpionico super medagliato, che ha richiesto “una parità di condizioni”.
È una cosa grottesca che deve finire”, scrive la scrittrice Marina Terragni, medaglia d’oro di terf.

Il caso, mosso dal beneficio del dubbio misto a estrema disinformazione – con un immancabile pizzico di privilegio cisgender – è diventato una carta passeparteout per permettere ad ognun* di dire quello che passa per la testa e legittimare transfobia in nome della famigerata “libertà d’opinione”.



Riformulando: le atlete trans hanno dei vantaggi in più rispetto le atlete cisgender?

 

Perché la polemica sulle atlete trans non si regge in piedi
Lia Thomas ha ottenuto tre record scolastici e due vittorie nazionali nel giro di un mese.

La linea guida adottata nel 2010 dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale) spiega che le donne trans possono competere nelle categorie femminili dopo un anno con livelli di testosterone inferiori a 10 nanomoli per litro. Successivamente, la federazione ha richiesto 5 nanomoli.

Nel 2021, le nuove indicazioni sono ancora più inclusive delle precedenti: con la collaborazione di circa 250 esperti, i nuovi aggiornamenti non vedranno più un controllo del livello di testosterone per determinare in quale categoria far gareggiare le partecipanti (pratica particolarmente invasiva per le persone trans).

Dov’è il problema? Gli oppositori ritengono che testosterone e struttura fisica garantiscano alle atlete trans dei vantaggi in più rispetto le colleghe cisgender.

Ma i livelli di testosterone diminuiscono rapidamente in seguito al trattamento ormonale: recenti ricerche confermano che su 250 donne trans, il 95% ha un livello di testosterone inferiore a 2 nanomoli per litro (non affatto così distante da quello di una donna cisgender).

I vantaggi conferiti dal testosterone sono quanto più equivocabili: “Studiando i livelli di testosterone tra gli atleti non si rileva nessuna chiara correlazione tra testosterone e performance atletica.” spiega Katrina Karkazis, antropologa e bioetica “Qualche volta il testosterone è associato con una performance migliore, ma parecchi studi mostrano deboli collegamenti o nessun collegamento affatto.

Se la correlazione è debole e non abbastanza solida per poter parlare di “ingiustizia”, ricollegare tutto al testosterone appiattisce incredibilmente la realtà sportiva: le atlete trans hanno diverse abilità, ma come anche quelle cisgender. 



Una saltatrice più alta potrebbe avere delle gambe più lunghe di un’altra, ma l’altra potrebbe avere una forma perfetta ed essere avvantaggiata a sua volta” dice Andraya Yearwood, atleta e studentessa ACLU (American Civil Liberties Union) “Una scattista potrebbe avere genitori che spendono tutti i loro soldi in personal training, che di conseguenza, potrebbe permettere alla figlia di correre più veloce”.

 

Perché la polemica sulle atlete trans non si regge in piedi
Valentina Petrillo, atleta transgender quinta agli Europei di Bydgoszcz

 

Inoltre, come spiega la dottoressa sportiva Joanna Harper — consulente presso il CIO e anche lei donna trans — la teoria che le donne trans siano sempre facilitate non è vera, in quanto una struttura corporea più grande può portare anche a svantaggi nella velocità o poca resistenza nel recupero. Spiega Harper “L’analogia che ho usato è che la donna trans è come una grande macchina con un piccolo motore in competizione con una piccola macchina con un piccolo motore.”



Ci spiega che l’intero focus sui vantaggi, non ha molta senso quando si parla di concorrenza sportiva: “Ci concentriamo sempre sui vantaggi; bene, permettiamo già vantaggi nello sport. E permettiamo vantaggi per un gruppo rispetto a un altro. Per esempio, nel baseball, la configurazione a diamante offre molti vantaggi ai giocatori mancini rispetto ai giocatori destrimani. Eppure, questo è un vantaggio che permettiamo.”

Come dice Harper, più che fare a gara a chi ha più benefici, è fondamentale mantenere un sistema in cui sia le donne trans che quelle cis possono gareggiare l’una contro l’altra in una competizione leale e significativa.

Conclude Harper: “non c’è alcun segnale del fatto che le donne trans stiano prendendo il controllo dello sport femminile. Non sta accadendo ora e non è probabile che accada in futuro.”

Per saperne di più su altri atleti dichiaratamente LGBTQIA+ vi consiglio quest’altro nostro articolo:

Olimpiadi Invernali Pechino 2022, ecco gli atleti dichiaratamente LGBTQIA+ in gara

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gioric70 31.1.22 - 16:22

Stima infinita per te! Quanto rompono i coglioni tutti....Ma una sana scopata no? Mo pure agli sportivi devono cagare il cazzo....ma bastaaaaaa!

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maipiumojo 31.1.22 - 14:34

Per le donne che vogliono gareggiare con gli uomini e giustamente sono in difficoltà fisica, proporrei di castrare tutti i maschi, che ne pensate? Perché se lasci assumere loro ormoni maschili poi anche gli uomini potrebbero volere fare la stessa cosa.. invece se tagliamo i coglioni a tutti si pareggerebbero i conti, chi vuole fare sport può farlo tra uomini o castrati contro donne che se sentono uomini, geniale no?

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