Perché la politica tratta noi LGBTQ+ da deficienti?

O forse è una mia impressione, perché, come dicono gli osservatori cisgender eterosessuali bianchi: sono troppo coinvolto.

LGBT Politici ci trattano da deficienti
LGBT Politici ci trattano da deficienti
5 min. di lettura

Confesso: sono un deficiente. Pur lavorando come cronista politico, pur scrivendo di diritti e identità negati, non avevo capito quanto fosse avanti in realtà questa politica. Non l’ho vista. Forse perché sono un populista (non lo siamo un po’ tutti?) o forse perché, come spesso vengono a spiegarmi quelli che ti guardano con pietà, da osservatori cisgender eterosessuali bianchi: sono troppo coinvolto.

Andiamo per ordine.

Rossano Sasso, sottosegretario leghista del ministero dell’Istruzione, ha fatto un’analisi eccezionale. Poi uno si chiede cosa distingue un sottosegretario o un ministro o semplicemente un parlamentare da un commentatore dell’internet o dal mio portinaio Gino: la conoscenza, il talento e le idee a fin di bene, ecco cosa lo distingue. Allora, ha detto Sasso:

Nessuno ci chieda di abbandonare la scuola, i nostri figli e tutte le famiglie italiane di fronte all’assalto di teorie fondamentaliste e alle occupazioni di istituti perché manca il bagno per chi non si sente né uomo né donna”.

Il sottosegretario si riferisce al liceo Ulisse Dini di Pisa che ha negato a Geremia, studente transgender di 17 anni, l’attivazione della carriera Alias (il protocollo per richiedere il riconoscimento della nuova identità), che gli avrebbe permesso di utilizzare un’identità diversa in attesa della transizione. Sasso ha anche aggiunto: “La preside in questione si è mossa nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente, ma paga lo scotto di non essersi conformata al pensiero unico che si sta tentando di imporre con pressioni oggettivamente inaccettabili”.

Ha detto proprio così:  “Nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente” e ha aggiunto senza ridere: “pensiero unico”. Ed è vero. Non bisogna mai piegarsi al pensiero, neanche a quello unico. In alcuni Paesi funziona così: Ungheria, Russia, Cecenia, Polonia. Paesi che certamente il sottosegretario non frequenta, ma il suo leader conosce. Ed è bello sapere che al ministero dell’istruzione c’è un sottosegretario che ha capito quello che noi invece ci ostiniamo a non voler capire: la carriera Alias, richiesta dagli studenti, non serve per ottenere profilo burocratico alternativo e temporaneo, che sostituisce il nome anagrafico con quello adottato, almeno fino all’ufficiale rettifica anagrafica. No, serve per usare il bagno del genere opposto. Non solo, grazie al sottosegretario scopriamo che c’è una norma vigente che la vieta. Non è chiaro quale, ma lui dice che c’è. Contattato, il sottosegretario non ha risposto, sarà troppo occupato a difenderci dall’assalto di teorie fondamentaliste.

Tuttavia sorge una domanda: mentre il sottosegretario -immagino dotato di scudo anti-gender e crocifisso- difende i nostri figli, mi chiedevo: che fine ha fatto la ministra delle Pari Opportunità, Elena Bonetti? Ve la ricordate? Scout, renziana. Ministra di tutte le Pari Opportunità, purché non riguardino le persone Lgbt.

A memoria d’uomo, la ministra non ha mai citato il ddl Zan nel 2021. Ha espresso timidi comunicati di “solidarietà” alle vittime di aggressioni per poi scivolare dolcemente al 10 giugno e chiedere: “mediazioni o il ddl Zan sarà affossato”. Come è andata a finire è storia. Perché la ministra non ha detto una parola sulla carriera Alias, eppure è una richiesta che attraversa tutte le scuole in Italia, con studenti che occupano licei e protestano in solidarietà dei loro compagni e delle loro compagne dall’identità negate. Forse perché non ha idea, sussurrano a Largo Chigi. Ma queste sono cattiverie. I sospetti che di temi Lgbt fosse a digiuno erano emersi l’8 novembre 2019. Quel giorno incontrò una delegazione dell’associazione Famiglie Arcobaleno. Bisogna individuare il periodo: temi sul tavolo erano tanti, tra questi il decreto Salvini che imponeva (e ancora adesso, perché nulla è cambiato) nella carta d’Identità elettronica le parole “padre e madre” in sostituzione a “genitore”. Elena Bonetti si era insediata il 5 settembre 2019. Due mesi dopo ha accettato di incontrare Famiglia Arcobaleno: “Un incontro cortese”, commenterà poche ore dopo Gianfranco Goretti, all’epoca Presidente di FA. “Io di questi temi non mi occupo”, avrebbe detto candidamente la ministra prima dell’incontro. Non è una colpa, i temi si studiano, i ministri hanno un team apposito. Niente, sono passati due anni. Una pausa breve durante le dimissioni fasulle. Poi da ministra ha presentato diversi convegni sul tema “La famiglia”. Escluse: le famiglie arcobaleno. La ministra fantasma, si starà sicuramente adoperando a fare qualcosa. Si sa che certi politici preferiscono fare le cose all’ombra e lasciare agli altri i meriti. Noi non capiamo, non serve. Ci pensano loro.

LGBTQ Community
Gay.it – LGBTQ Community

C’è qualcosa che non torna neanche nel campo del PD arcobaleno. Diciamo così. Ho letto con interesse quanto detto da Alessandro Zan durante una diretta Instagram (ripresa qui da Gay.it). Ad aprile il ddl Zan potrà tornare alla Camera“. Potrebbe essere un’uscita buona per tenere vivo il tema sui giornali, soffocato dal toto-Quirinale e decisamente esaurito come questa legislatura. Va benissimo, ma ci sono due cose che non tornano. Il deputato Zan ha dichiarato:  “Se la legislatura continuerà fino al 2023, da aprile noi avremo circa un anno per tentare comunque di approvare una legge contro i crimini d’odio. È una strada difficile, ma non vogliamo dargliela vinta. Ad aprile ripartiremo con la stessa carica e voglia con la legge, tra commissione e parlamento“.  Bisogna fermarsi a riflettere sulla premessa, “se la legislatura continuerà”. Mi sembra già qualcosa e una mezza confessione. Si potrebbe tornare alle urne dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ma entriamo nel campo della psicopolitica. “Ad aprile”, dice Zan. Appunto, quindi il tempo per investire le forze del Parlamento su una legge che è stata affossata non c’è. Il ddl Zan ci ha messo due anni a trovare una mediazione che poi non andava bene a nessuno. Ma soprattutto con una piazza che chiede “Molto più di Zan”, suona stonata l’idea di presentare lo stesso testo che è stato bocciato da forze politiche che non sono cambiate ma sono lì, forse ancora più unite di prima. Invece: trattano la comunità come una banda di ragazzini, popolo sfrenato e irragionevole. Ed è un peccato. Il deputato Zan non lo fa in malafede, per comprenderlo basta conoscerlo un po’. Da sempre è la persona più specchiata sul fronte della battaglia per i diritti. Ma pecca di ottimismo e forse di ingenuità. Ma il rischio di peccare di ingenuità per gli attivisti è imperdonabile. Bisogna sempre essere chiari, mai dare speranze che non ci sono. Perché la fiducia di questa comunità,  quella che ha riempito le piazze e che servirebbe davvero per risollevare questo paese, è un come un sentimento che si consuma ad usarla così male. Il mondo è di chi parla ad alta voce, indica la realtà e la nomina, non di chi tace e non di chi omette. Certo, che bisogna dirsele le cose principalmente a se stessi.

Questo prima che sia troppo tardi, prima che la narrazione venga erosa dalla realtà. Perché io forse non ho capito niente, forse sono un deficiente, ma la comunità lgbt ha sempre dato prova di non esserlo.

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