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Riformare la legge sull’HIV senza ascoltare le persone sierocoinvolte e le associazioni

La proposta di legge di Mauro D’Attis (Forza Italia) è totalmente inadeguata. Gay.it ha sentito le associazioni: un disastro. Rizzo Nervo (PD): presenterò emendamenti.

5 minuti di lettura

Silence = Death.

 

Silenzio uguale morte. È stato questo lo slogan elaborato negli anni 80 dal collettivo di New York composto da Avram Finkelstein, Brian Howard, Oliver Johnston, Charles Kreloff, Chris Lione e Jorge Soccarà. Un monito verso l’ingiustizia sociale e l’indifferenza rispetto alla pandemia di Aids negli anni 80. Il silenzio era una cortina che soffocava le persone lgbt positive al virus dell’Hiv. Quel silenzio, in qualche modo, le circonda oggi. Persone su cui si accendono i riflettori soltanto una volta l’anno. Non esistono per la politica, nessuno attorno vede, nessuno sente, nessuno sa. Si spilla un fiocco rosso al petto e poi basta, grazie di tutto, al prossimo anno. Nell’agenda politica, a quarant’anni dalle prime diagnosi di AIDS, si discute di una riforma della legge 135/90 sulla risposta all’HIV/AIDS.

Per chi non lo sapesse, la 135 è stata una buona legge che ha preservato il diritto alla salute e la dignità delle persone con HIV/AIDS. Ma sono passati 30 anni. Il tempo di mezzo di una vita. È una legge vecchia, va riformata.

Ci sta pensando un deputato di Forza Italia, Mauro D’Attis, con una proposta di legge dal titolo: “Interventi per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS e le epidemie infettive aventi carattere di emergenza” ora incardinata in commissione Affari Sociali. È qualcosa che servirebbe davvero. Dal 1990 è cambiato il mondo. Bisogna regolare l’orologio di questa legge, sincronizzarlo con questo tempo. Come lo stanno facendo? Perché?

Io che lavoro con le notizie, leggo dieci giornali al giorno e vedo (saltuariamente) la tv, non sapevo di questa riforma: figuriamoci chi fa un mestiere qualsiasi, quelle persone che i soldi per i giornali non ce li hanno, né il tempo, né i mezzi per informarsi. Il virus riguarda tutti. Il virus dell’HIV è parte della storia della comunità arcobaleno. Ma questa comunità sa che dentro la Camera, nel post-ddl Zan, si parla ancora di loro senza di loro? No, ve lo racconto.

La spinta per una riforma della 135/1990 arriva da Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge. Siamo nel 2018, giovedì 6 dicembre, sala stampa della Camera dei deputati l’onorevole Mauro D’Attis presenta insieme alla Presidente Iardino, la volontà di dar vita ad una coalizione ampia che riporti la lotta all’Aids in prima linea, insieme alle problematiche sulle malattie infettive ormai regolamentate da una legge di 28 anni fa. Passa un anno, il 26 novembre 2019 viene depositata la proposta di legge. Arriva il Covid, le sue conseguenze e i suoi effetti: crisi, certo ma anche PNR, Riforma del sistema sanitario nazionale. Il 2020 fa da macchina del tempo e rende quel progetto di riforma ancora più vecchio.

Fuori, ad osservare i lavori, ci sono le associazioni che da più di 30 anni si barcamenano per fare quello che – all’inizio, nel tempo del silenzio e della morte – la politica non voleva fare: test, accoglienza, lotta allo stigma e così via. Ci sono critiche che vanno ascoltate, riflessioni che andrebbero fatte.
Si parte dal titolo: “Interventi per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS e le epidemie infettive aventi carattere di emergenza” che continua a riferirsi all’AIDS invece che all’HIV. Ma non solo. La proposta è considerata “inadeguata alle nuove esigenze, non rispondente alle dichiarazioni ONU, cui anche l’Italia ha aderito, impermeabile alle novità scientifiche e sociali intervenute”, denuncia Lila (La Lega italiana per la lotta contro l’AIDS, qui l’intervista pubblicata ieri da Gay.it al Presidente della Lila Massimo Oldrini ).

C’è desolazione di fronte alla sordità della politica: nessun confronto preventivo con la comunità scientifica, nessun confronto preventivo con le ONG e, nemmeno, con la sezione M del Ministero della Sanità, istituzione che raccoglie proprio tutti quegli organismi del terzo settore attivi sul tema da decenni.
Ma c’è anche voglia di capire, rendersi disponibile, cercare di dare una mano. Al convegno «1981-2021 di Hiv: quarant’anni nella storia» organizzato in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS il 23 novembre alla Camera, è stato segnalato che in molti convegni/occasioni dove si è parlato anche della proposta di legge, è comparsa spesso come sponsor un’azienda farmaceutica. “Perché?” si sono chieste molte delle associazioni. Insomma a chi è rivolta questa legge veramente? Voglia di capire, ascoltare e distinguere. Domanda alla quale la politica non può rispondere con un’alzata di spalle.

I dubbi non sono pochi. Massimo Farinella, Presidente sezione M (Associazioni di Lotta all’HIV/Aids) del Comitato Tecnico Sanitario presso il Ministero della salute sottolinea a Gay.it: “La proposta è al momento ospedalocentrica”. Cioè ignora il lavoro territoriale e domiciliare, discriminando tutti quegli ambiti sociali che la sieropositività attira, fuori dagli ospedali: locali, saune, sex worker. Eppure anche l’ONU ha ribadito, nero su bianco, che serve dare credito e risorse a quelle associazioni che lavorano fuori dagli ospedali, in quelle intercapedini che sono locali, saune, strade.

Come associazioni continua Farinella “non siamo stati coinvolti all’inizio. Neanche, M, organo del Cts, di cui sono presidente, che raccoglie le associazioni”. Farinella ricorda anche la riforma del terzo settore sul no profit e l’impresa sociale: “Questa legge non la prevede. Ignora che ci sono attività che le associazioni già fanno. Pensiamo all’orientamento, allo sportello per PrEP, i test rapidi e anche una serie di servizi per le persone con HIV. La legge cita il volontariato che è un’altra cosa. Non si può fare una legge emergenza le e parlare di Hiv come se ne parlava 40 anni fa. Il problema è strutturale e servono strumenti strutturali su alcuni servizi

In sintonia Sandro Mattioli, presidente di Plus: “C’è un piano. Si chiama Piano Nazionale AIDS, se ci ispirassimo a quello in termini di articoli già sarebbe migliore”. Il PNAIDS è stato approvato nel 2017 innovativo, aggiornato e conforme alle dichiarazioni internazionali ONU, UNAIDS e OMS cui l’Italia ha aderito. Un esempio di sinergia tra organismi ministeriali, società scientifica e società civile, è rimasto, purtroppo, largamente inapplicato e non finanziato. “Inizia a essere antica questa legge, non tiene conto di una serie di andamenti” ripete Mattioli: “Si lavora molto sull’ospedalizzazione poco sullo stigma, pensiamo al coming out sierologico che è uno dei problemi di questo paese che viene ignorato”.

Critiche arrivano anche dal professor Massimo Galli, coordinatore del PNAIDS: “Gran parte delle regioni non hanno nemmeno attivato le commissioni AIDS, il piano è stato largamente disatteso. Tutto ciò che andrebbe fatto –ha proseguito- nel PNAIDS c’è già: lotta allo stigma, cure innovative, prevenzione con la PrEP gratuita e poi valorizzazione di U=U, che nessuno conosce (ne parliamo qui)”. Da Galli, dunque, l’invito a vigilare sui rischi di un peggioramento della legge esistente.

Duro lo scontro tra il Presidente della Lila, Massimo Oldrini e il deputato D’Attis, in occasione della 13a edizione del Congresso ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, al Palazzo dei Congressi di Riccione a fine ottobre: “Perché non avete accolto prima le proposte della società civile? -ha chiesto il Presidente della LILA- eppure vi erano state inviate già prima della pandemia”. D’Attis ha replicato: “Le vostre indicazioni sono state lette e raccolte ma ancora non potete vederle tradotte in atti parlamentari perché è adesso che si parte davvero”.

Il problema qui non è il viaggio, ma la compagnia. Con chi si parte? Sappiamo che il deputato D’Attis avrebbe rassicurato che raccoglierà proposte di modifica da associazioni tramite alcuni parlamentari. Sarà compito di Luca Rizzo Nervo, deputato del Partito Democratico in commissione Affari Sociale, a riportare sul binario giusto la riforma con proposte di modifiche. Contattato da Gay.it, Rizzo Nervo ha confermato: “Presenterò una serie di emendamenti relativi in particolare alla partecipazione evoluta del terzo settore nell’ambito della prevenzione: cosa che manca completamente nel testo presentato . La riforma della 135/1990 non è la legge Zan. Non sta agitando coscienze, influencer, dibattiti pubblici. Eppure è qualcosa di altrettanto urgente. La fragilità degli ultimi due anni ci ha dimostrato quanto sia importante investire in salute soprattutto, pensare ai prossimi 20 anni invece che ai prossimi due. La politica, però, su questa lotta che dura da 40 anni risulta assente. La comunità Lgbtqia+ troppo distratta. Il silenzio, ricordavamo all’inizio, può uccidere. Bisogna romperlo, aiutare chi ha bisogno. Se questa non è una priorità, non so quale possa esserla.

Se non si riesce a trovare un accordo fra pezzi di politica e associazionismo per dare una svolta a questo paese immobile sul fronte HIV, non so a cosa siano serviti tutti questi anni di lotta.

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