Si parla spesso di omofobia nel mondo dello sport, in particolare nel calcio. Ma anche tra i fornelli, è difficile trovare chef dichiaratamente omosessuali. A dirlo è Viviana Varese, chef lesbica che ha dichiarato in un’intervista: “gli chef gay si nascondono, come i comandanti di battaglione“. E purtroppo è vero.
Ma facciamo un passo indietro, e conosciamo la chef Viviana Varese. Anzi, la super chef.
Chi è Viviana Varese, la chef di Viva a Milano
Viviana Varese è la chef del ristorante “Viva” a Milano, una stella Michelin. Ma è anche una dei tre Champions of Change. Unica italiana a salire sul podio, gli altri due vincitori sono lo chef e attivista Kurt Evans di Philadelphia e Deepanker Khosla, chef e proprietario del ristorante Haoma a Bangkok.
Ma cos’è la competizione Champions of Change? È una speciale gara che premia gli chef che hanno contribuito a rendere il mondo un posto migliore. Kurt Evans ha sfruttato la sua cucina per una campagna di sensibilizzazione contro l’incarcerazione di massa, mentre Deepanker Khosla ha trasformato il suo rinomato ristorante in mensa, per offrire un pasto caldo alle persone in difficoltà durante la pandemia.
La nostra Viviana Varese invece si è dedicata alla comunità LGBT, che ha dato il suo contributo per abbattere le barriere e supportare l’inclusione della comunità.
Cucina e LGBT: due mondi ancora distanti
Al magazine di cucina Dissapore, Viviana ha raccontato la sua storia, a partire proprio dalla sua omosessualità. La chef lesbica ha spiegato di essere sempre stata un’attivista per i diritti civili e in particolare per l’inclusione, a casa come tra i fornelli:
Io sono omosessuale è per me è naturale fare scelte di inclusione. Ho fatto parte per anni del Parabere forum, per promuovere l’inclusione femminile nel mondo della gastronomia.
La mia cucina è sempre stato un luogo ricco di diversità, e dopo anni che avveniva in modo silente, quando ho riaperto Viva ho creato un mio manifesto, che include temi come la sostenibilità ambientale e il gender balance.
Ma di particolare interesse, è “l’assenza” di chef LGBT.
Anche facendo una statistica grossolana, se in Italia ci sono 371 stellati e circa il 10% della popolazione è omosessuale, dovremmo avere almeno una trentina di chef LGBT.
È chiaro che si nascondono: purtroppo quello dell’alta cucina è un mondo molto maschile, in cui bisogna seguire un modello aggressivo e autorevole, per cui uno chef omosessuale avrebbe certamente un problema di ruolo. È come un comandante di battaglione che si dichiara gay: impossibile, praticamente.
Ancora una volta, dunque, c’è lo stereotipo a limitare il coming out. Una persona omosessuale non può essere mascolina? Non può avere autorità? Se si ragione per stereotipi, pensando che un omosessuale sia il solito debole ed effeminato, non si potrà mai sperare in una società inclusiva.
Ddl Zan: la sua posizione della chef lesbica
La chef si racconta:
Ho dichiarato di essere lesbica a 21 anni, al funerale di mio padre, ma solo dopo che è morto ho scoperto che lui, in realtà, l’aveva sempre saputo senza che glielo dicessi, e anzi mi difendeva.
Personalmente, da allora, non ho mai avuto paura di dirlo. Certo, il percorso di accettazione all’inizio è stato difficile, anche perché quando l’ho dichiarato non c’era internet, non c’era nessuno che potesse supportarmi aiutandomi a capire: pensavo di essere l’unica lesbica della provincia di Lodi, sono andata in grande crisi, ma perché non conoscevo il mondo lì fuori.
E qual è la sua posizione sul ddl Zan?
Non capisco tutto questo dibattito su una legge che deve passare. In Italia siamo così indietro rispetto al resto dell’Europa, è ora di fare dei passi avanti.
Dobbiamo tutelare chi viene pestato perché omosessuale, dobbiamo abbattere gli stereotipi, cercare di essere più amorevoli nei confronti degli altri. Se questa legge non passerà o verrà cambiata sarà certamente un male per il nostro Paese: quello che c’è di buono è che almeno oggi, grazie alle discussioni sul DDL Zan, si sta facendo tanto baccano intorno alla questione dei diritti della comunità LGBT+.
Genere e premi LGBT
L’inclusione è il valore per cui la chef lesbica si batte da sempre. Anche per questo pensa che, nel 2021, premiare la “migliore chef donna” sia inutile:
Una donna dovrebbe essere premiata a prescindere dal sesso, altrimenti è come stare chiuse in un recinto.
Cosa diversa premiare la causa LGBT in cucina:
C’è bisogno di aprire le coscienze di tutti: è una questione di giustizia e di accettazione sociale, e che una realtà così prestigiosa dia questo segno per me è molto importante. Alla fine, è un tema che corre di pari passo con quello femminile: sono due ambiti su cui il mondo del lavoro ha ancora tanta strada da fare per arrivare all’inclusione.
Il prossimo passo della chef Viviana Varese sarà quello di aprire una gelateria, a Milano, che verrà gestita da donne vittime di violenza domestica. Un altro passo per l’inclusione e la rinascita.
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