Wild Nights With Emily è finalmente nelle sale italiane: la pellicola del 2018 – presentata in anteprima al Sicilia Queer Film Festival – è l’occasione per (ri)scoprire la poetessa più famosa del mondo attraverso una nuova lente: Madeleine Olnek – regista, produttrice, sceneggiatrice e drammaturga indipendente americana – partendo da un sorprendente articolo del New York Times uscito nel 1998, cerca di dare spazio alla vera identità di Emily Dickinson, ritratta nei libri di storia come una reclusa sottomessa e terrorizzata dal mondo, ma in realtà una creatura irriverente e ribelle (qui trovate anche il nostro approfondimento, insieme al saggio di Federica Fabbiani). Soprattutto Emily era orgogliosamente queer: a confermarlo le innumerevoli lettere scambiate con la cognata Susan, musa ispiratrice di buona parte dei suoi versi poetici.
Una realtà cancellata dalla storia, come quella di tante altre donne lesbiche e bisessuali, viste esclusivamente attraverso lo sguardo degli uomini eterosessuali. Wild Nights With Emily sceglie di cambiare narrazione e diventare un racconto intergenerazionale.
Ne abbiamo parlato meglio con la sua regista, Madeleine Olnek.
Quando hai deciso di dirigere uno spettacolo e poi un film dedicati ad Emily Dickinson? E come ti sei approcciata al materiale di partenza, cercando di rendervi giustizia?
Ho scritto e diretto la versione teatrale di Wild Nights With Emily nel 1999 nei teatri del centro di New York.
Nel 1998 era uscito un articolo sul New York Times con un’intervista alla studiosa Martha Nell Smith, la quale parlava delle cancellature nelle lettere di Emily Dickinson: queste rimozioni erano state fatte appositamente per nascondere la relazione tra Emily Dickinson e la sua amata Sue. L’articolo riportava anche una lettera a Sue che era sfuggita alla cancellazione, una lettera molto appassionata.
All’epoca nessuno aveva mai pensato che Emily Dickinson fosse lesbica, e io pensai: “Ma stiamo scherzando? Questa lettera lo dimostra in modo così evidente! Come mai nessuno ne ha mai parlato? Io ho fatto coming out a New York negli anni ’80, e all’epoca una cosa che facevamo per sentirci meglio era parlare delle persone famose della Storia passata che erano queer, ma lo erano segretamente. Emily Dickinson non era mai in quelle nostre liste. Nessuno lo sapeva! Sono rimasta scioccata. Quando ho scoperto quella sorta di soap opera che si celava dietro il motivo per cui Emily veniva ritratta come una reclusa che non poteva uscire dalla sua camera da letto e parlava con le persone solo attraverso i muri, ho pensato: “È troppo divertente. Devo scrivere una commedia su questo. Dunque ho fatto un sacco di ricerche e soprattutto ho lavorato con il materiale originale, con le lettere vere e proprie, e con ricordi in prima persona, piuttosto che leggere biografie, perché le biografie non erano veritiere.
Poiché ero una persona queer che raccontava una storia queer su una donna che era stata celebrata per essere una martire eterosessuale devota al marito, sapevo che la storia avrebbe fatto arrabbiare alcune persone e che sarei stata accusata di avere secondi fini. Affinché la mia fosse una rappresentazione significativa, trattandosi della prima presentazione di una Emily Dickinson queer sullo schermo, dovevo basarmi sugli eventi reali della sua vita, altrimenti sarei stata solo un’altra artista che offriva una propria versione dei fatti. Fortunatamente, la storia reale è di per sé comica, e il fatto che racconti la sua vita quotidiana la rende attuale.
Il film è pieno di umorismo e umanità, in opposto alla tipica immagine che la storia ci ha dato di Emily Dickinson. Perché hai scelto di raccontare questa storia con un tono più leggero e ironico? L’hai sempre immaginata come una commedia?
Emily Dickinson aveva un grande senso dell’umorismo, e inizialmente questa cosa mi ha stupito, perché anch’io avevo l’immagine che molti storici hanno presentato. Invece Dickinson diceva e scriveva cose che facevano ridere a crepapelle. Il film ha il tono che ha perché volevo restituire la gioia insolita che la vita di Emily Dickinson conteneva.
La performance di Molly Shannon è pazzesca e scalda il cuore. Com’è stato lavorare insieme a lei e come vi siete approcciate insieme ad un ruolo così importante e al contempo difficile?
Molly Shannon è un’attrice meravigliosa. Fin dall’inizio abbiamo deciso di non adottare una recitazione “d’epoca”, ma di far raccontare a Molly con verità e con il cuore ciò che accadeva. Volevamo anche entrare nella mente di Dickinson per catturare il processo dei suoi pensieri e la vivida immaginazione che aveva come scrittrice.
Molly ha messo nella sua interpretazione molto del proprio vissuto. Si è immedesimata nella lotta di Emily Dickinson per vedere pubblicate le proprie poesie mentre era in vita, perché anche Molly ha lottato come attrice prima di diventare una famosa con il Saturday Night Live. E nella sua nuova autobiografia, esilarante e meravigliosa, dal titolo “Hello Molly”, Molly racconta di come suo padre fosse cattolico e gay, e come abbia lottato per anni con questa condizione, fino a quando da anziano non ha fatto coming out. Ha capito l’importanza del vedere sullo schermo relazioni LGBTQ appassionate e divertenti, e modelli cui potersi ispirare, perché per tanto tempo non c’è stato nulla di tutto ciò per molte persone.
Hai incontrato difficoltà durante la realizzazione di questo film?
Ho dovuto lottare per fare questo film perché nessuno pensava che la storia fosse vera. C’è un detto che dice: “Il primo prende un’Arrow, il secondo prende una limousine”. Sapevo che era molto importante che questa storia venisse raccontata, perché io stessa ero stata molto colpita dalla storia falsa che mi è stata raccontata su Emily Dickinson quando ero alle elementari. Non ho mai avuto a disposizione l’intero budget necessario per ultimare il film, ma ho iniziato a girarlo e ho continuato a raccogliere fondi man mano che procedeva.
Per quanto riguarda la rappresentazione queer e lesbica, il tuo film è uno di quegli esempi che sovverte i cliché del “tipico film in costume su un amore proibito dall’esito tragico”. In quanto scrittrice e regista, quali stereotipi sei stufa di vedere nella rappresentazione queer e quali passi in avanti sono necessari per raccontare storie interessanti e nuove?
Penso che sia immorale fare un dramma quando si può fare una commedia. La vita è già una tragedia, visto che tutti noi moriremo – si sta solo rigurgitando la vita così com’è già. Il pubblico – soprattutto quello queer – merita di ridere, dopo tutto quello che abbiamo passato.
“Wild Nights With Emily” è un film drammatico e comico allo stesso tempo. Sono stata attirata in questo territorio dalla bellissima poesia di Emily Dickinson, ma c’è anche molta commedia nel film. Sarebbe importante capire, a proposito di quel pregiudizio critico che vede con favore i film drammatici più che le commedie, che solo perché un dramma è presentato con un tono di “grande significato”, non significa in realtà che abbia quel grande significato. Anche le commedie devono essere intese come una forma profonda.
Il tuo film arriva appena in tempo con il mese del Pride. Perché pensi che Emily Dickinson sia ancora una forte icona queer con un impatto così grande sulle nuove generazioni?
Ricordiamo che è una nuova icona queer: in passato si raccontava che fosse etero, reclusa, morbosa e infelice, segretamente innamorata di un uomo chiamato “Maestro”. Tutto inventato. Quando il mio film è stato acquistato per la prima volta da un distributore statunitense nel 2018, lo ha mostrato a una coppia di lesbiche anziane di cui era amico, che gli hanno detto di non aver mai saputo che Emily Dickinson avesse avuto una relazione con una donna. Avevano cercato su internet qualche scritto in merito e non hanno trovato nulla. L’uscita nelle sale americane di “Wild Nights With Emily” [in Italia il titolo include il cognome della poetessa, per una decisione presa di comune accordo con il distributore Paolo Minuto, ndr] ha cambiato le cose, perché la copertura da parte della stampa è stata notevole.
Penso che la storia di Emily sia importante per le giovani generazioni di persone queer, perché sappiamo quanto sia facile cancellare la storia queer. Ma ho fatto questo film perché fosse intergenerazionale. È un film che potete tranquillamente andare a vedere con i vostri genitori, madri e figlie, figli e padri. Grande letteratura e una romantica storia d’amore, una commedia sul modo in cui la storia viene raccontata – una “chicca che fa ridere”, come l’ha definita il New York Times! Spero che veniate al cinema e sarò presente a molti dibattiti in tutta Italia questa settimana!
PS – Includo una foto di me nella mia cucina a New York, davanti alle immagini delle mie star preferite del cinema italiano che mangiano pasta – per farvi capire quanto il cinema italiano sia stato importante per me!
Questa settimana Madeleine Olnek proseguirà gli incontri con il pubblico a Milano, Brescia, Cagliari, Sassari, Macerata, Senigallia e Castellana Grotte. Date e luoghi degli incontri sono reperibili sulla pagina Facebook di Cineclub Internazionale Distribuzione, quotidianamente aggiornata.
Il film ha inoltre una programmazione ordinaria in 13 città, e rimarrà disponibile per chi volesse richiederlo al distributore.
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