Uganda, l’NGO LGBTQIA+ SMUG perde il ricorso in tribunale: operazioni illegali secondo l’Anti Homosexuality Act

Desolante esito di una persecuzione che va avanti dal 2012: l'Uganda mette un altro chiodo sulla bara dell'attivismo LGBTQIA+ nel paese.

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Nel desolante esito di un caso che si trascina ormai dal 2012, un tribunale ugandese ha nuovamente – e definitivamente – rifiutato l’istanza di registrazione della SMUG – Sexual Minorities Uganda – associazione di promozione e tutela dei diritti LGBTQIA+ operante nel paese sin dal 2004.

La petizione – presentata da attivist* della SMUG in collaborazione con altre entità simili – aveva l’obiettivo di sovvertire la decisione dell’Ufficio Nazionale NGO, che due anni fa aveva interrotto le operazioni dell’organizzazione tramite un cavillo formale, che impediva la corretta registrazione del nome “Sexual Minorities Uganda” poiché “contravvenente all’interesse pubblico”.

Organizzazioni come SMUG si trovano infatti ad operare in un intricato groviglio di regolamenti anti-LGBTQIA+ contro la libertà di espressione delle soggettività non conformi, ed il caso di questa NGO non è che l’ennesimo simbolo della pesante repressione in atto ormai da diversi anni in Uganda verso le minoranze sessuali.

Dal 2012 ad oggi: come SMUG ha perso la sua battaglia a tavolino

L’odissea di SMUG ha inizio nel 2012, quando il primo tentativo di registrare l’organizzazione fu respinto dall’Uganda Registration Services Bureau.

La ragione principale di tale rifiuto era che il nome dell’organizzazione veniva considerato in contrasto con l’ordine pubblico. In aggiunta, l’Ufficio di presidenza classificò o SMUG come un’entità criminale, in base alla sezione 145 del codice penale.

Qualificazione dovuta al riferimento alle “minoranze sessuali” nel nome del gruppo e al fatto che lo SMUG aveva legami con individui impegnati in attività sessuali considerate illecite dalla legge.

La decisione venne poi confermata da un tribunale di grado inferiore nel giugno 2018, contro la quale lo SMUG decise di fare appello.

Quattro anni dopo, fu lo stesso ufficio a segnalare la mancata registrazione ufficiale dell’organizzazione, e ne interruppe le operazioni con effetto immediato. Una decisione evidentemente faziosa, dato che la causa stessa dell’irregolarità non era una mancanza da parte di SMUG, ma piuttosto un accanimento istituzionale parte di un piano più ampio per la repressione delle libertà individuali.

A marzo del 2023, l’entrata in vigore dell’Anti-Homosexuality Act- in cantiere dal 2016 – e con esso il divieto alla promozione dei diritti LGBTQIA+ con pene draconiane per chi lo infrangesse. La conseguente ondata di raid, arresti e detenzioni ingiustificate a danno delle identità non conformi – o presunte tali – servì a consolidare maggiormente l’attività repressiva delle autorità e il clima di terrore in cui ancora oggi la comunità LGBTQIA+ si trova ad operare.

Ma SMUG non aveva nessuna intenzione di arrendersi, e, nei mesi successivi, intentò un nuovo appello arrivata nelle scorse settimane in tribunale. Purtroppo, un buco nell’acqua.

SMUG non potrà più operare legalmente in Uganda

A un giorno dall’anniversario dell’entrata in vigore dell’Anti Homosexuality Act il 21 marzo 2023, la Corte D’Appello ugandese rifiuta quindi ufficialmente l’istanza di registrazione di SMUG, che non potrà più quindi svolgere il proprio vitale lavoro di promozione, tutela e advocacy dei diritti LGBTQIA+, ma anche le proprie fondamentali attività di sensibilizzazione e prevenzione in ambito di HIV.

Benché il fulcro del dibattimento sia stato prevalentemente il nome dell’organizzazione, il giudice ha comunque evidenziato l’associazione dello SMUG con attività di promozione e tutela dei diritti delle persone LGBTQIA+. Attività, secondo quanto stabilito dall’Anti-Homosexuality Act (AHA), considerate illegali.

Non si tratta però di un caso isolato: in questi mesi, la Corte Suprema dell’Uganda è impegnata ad esaminare casi su casi presentati da NGO, organizzazioni per i diritti umani, accademici, giornalisti e persino leader religiosi in sfida ai pesanti regolamenti anti-LGBTQIA+.

Molt* attivist* e difensor* dei diritti umani hanno manifestato la loro delusione per il verdetto, interpretandolo come l’ennesima opportunità perduta di salvaguardare diritti umani fondamentali della comunità LGBTQIA+, quali la libertà di associazione e di espressione.

Ancora una conferma che l’Uganda non ha alcuna intenzione di tornare sui propri passi, neanche alla luce delle pressioni internazionali.

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