Avrebbe dovuto inaugurare la Mostra del Cinema di Venezia lo scorso 30 agosto, per poi andare incontro ad uno slittamento di 8 mesi causa sciopero degli attori in quel di Hollywood, ma ora Challengers di Luca Guadagnino è finalmente pronto ad eccitare il mondo intero. Perché l’ultima fatica del regista di Chiamami col tuo Nome, sceneggiata da Justin Kuritzkes, penna anche del suo Queer con Daniel Craig, è un trionfo di (omo)erotismo, un menage-a-trois ambientato nel mondo del tennis, sport mai così ripreso su grande schermo, mai così raccontato, rappresentato, con un’infinita e appassionante partita all’ultimo quindici spalmata in 130 minuti di pellicola.
Zendaya, che ribadisce la propria magnetica bellezza e la clamorosa bravura, interpreta Tashi Duncan, ex adolescente prodigio del tennis diventata allenatrice dopo un gravissimo infortunio al ginocchio. Una forza della natura che non ammette errori, sia dentro che fuori dal campo. Solida, concentrata, competitiva, Tashi è un martello, incessante, nata per vincere. Sposata con Art Donaldson, top player reduce da una serie clamorosa di sconfitte (Mike Faist), la sua strategia per la redenzione del marito prende una piega inattesa quando quest’ultimo deve affrontare sul campo l’oramai logoro Patrick Zweig (Josh O’Connor), un tempo suo migliore amico ed ex fidanzato di Tashi.
Ed è qui che Guadagnino e Kuritzkes pennellano i lineamenti di un amore a tre sviscerato per 15 anni. Dal primo incontro giovanile, quando Tashi è l’astro nascente del tennis americano e Art e Patrick un’affiatata coppia di doppio, con i due amici completamente rapiti dal suo fascino. Entrambi la desiderano, entrambi la vogliono, entrambi fantasticano su di lei, entrambi le fanno la corte. Chi vince la finalissima Us Open Juniores avrà il suo numero di telefono.
In un triangolo amoroso tutti gli angoli dovrebbero toccarsi, ha dichiarato Guadagnino, che spiazza dando forma al suo film più sensuale, carnale, facendo leva sull’omoerotismo sportivo, su questi due ragazzi cresciuti insieme in un’academy tennistica, nella stessa camera per anni, tra masturbazioni reciproche, docce, saune, allenamenti e partite di tennis. Per rendere il tutto ancor più complesso ed intrigante, Guadagnino e Kuritzkes mettono a segno la schiacciata vincente ideando una triplice attrazione reciproca. Perché Art e Patrick sono pazzi di Tashi, e Tashi è pazza di entrambi, ma c’è amore anche tra Art e Patrick, alchimia fisica ed emotiva. La gelosia si fa quindi triangolare, esplodendo in un’iconica scena in cui lui bacia lei che bacia l’altro lui, fino a quando lui bacia lui con lei che li guarda baciarsi. Soddisfatta ed eccitata. Come qualunque spettatore al cospetto di un film che trasuda feromoni, perché Challengers è pura libidine cinematografica. Un amplesso di due ore.
Art e Patrick, amici indivisibili divisi da una donna, si guardano, si toccano, si provocano e sorridono, si stuzzicano continuamente, ostentando nudità reciproche, come se non vedessero l’ora di saltarsi addosso, mentre Tashi, che era stata prima con Patrick per poi sposare Art, non riesce a lasciare il primo ma soprattutto a dimenticare l’altro. Un triplice tormento che mai esplode con divisioni nette e irreversibili, perché amore e passione coinvolgono tutti, tanto da sentir partire ad un certo punto Pensiero Stupendo di Patty Pravo (“E tu. E noi. E lei. Fra noi“).
Costruito egregiamente, con continui salti temporali che raccontano la genesi del viscerale rapporto tra i tre protagonisti, Challengers non ha attimi di stanca, corre a perdifiato lasciandoti senza respiro, come se fosse l’ultimo tie-break al 5° set di una finale Slam. Guadagnino, che non è mai stato tanto ispirato da un punto di vista registico con continue trovate visive a rendere memorabile uno sport che potrebbe tranquillamente mostrarsi con una sola camera fissa sul campo, attinge a piene mani dalla fantastica colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, già due volte premio Oscar grazie a The Social Network e Soul, tripudio elettronico che pulsa energia. Una soundtrack ipnotica, una bomba techno da ascoltare e ballare senza sosta, che segue il ritmo dei continui dritti e rovesci dei tre protagonisti, che si sfidano per 15 anni giocando un match che non conoscerà mai la parola fine, tra confessioni e tradimenti, sgambetti e rimorsi, abbracci e profondi baci, gocce di sudore, di sperma e lacrime di dolore.
Il sempre più lanciato Josh O’Connor e Mike Faist, che aveva già incantato in West Side Story di Steven Spielberg, sono il fuoco e il ghiaccio, così diversi e così complementari, prima indivisibili e poi irrimediabilmente divisi da una ragazza, seppur uniti da un’amicizia che si fa bromance, che si fa desiderio, che si fa co-dipendenza. Nel mezzo c’è Zendaya, qui alla sua prova cinematografica più complessa e riuscita, donna tutta d’un pezzo ossessionata dal tennis divisa tra due uomini, due talenti sportivi così sfacciati. Perché se nell’eterno bambino Patrick convivono genio e sregolatezza, in Art emergono costanza e sacrificio. Il primo nel tempo è scomparso dal circuito tennistico che conta, incapace di gestire i punti decisivi, di vincere le partite che hanno un peso, mentre l’altro è famosissimo, milionario, ha conquistato sei Slam e punta a quell’US Open che ancora gli manca, ma è stanco e vorrebbe ritirarsi, se non fosse per quella moglie/allenatrice che faticherebbe a gestire il ricco pensionamento. Mentre il loro passato e il loro presente si scontrano e la tensione schizza sempre più sù, Tashi dovrà chiedersi quale sia il prezzo della vittoria.
Affiancato dal direttore della fotografia Sayonbhu Mukdeeprom, dalla scenografa Merissa Lombardo, dal montatore Marco Costa e dal costumista Jonathan Anderson, il regista di Bones and All ha girato un film che è pura scarica di adrenalina, con una straripante energia bisessuale che inonda lo schermo. Un’opera pop orgogliosamente esagerata, vorticosa, divertente, quasi afrodisiaca, con tre attori in stato di grazia e una messa in scena mai banale, che ostenta bellezza in ogni singolo frame.
Game, set, match per Luca Guadagnino.
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Non vedo l’ora. Anche perché ho un notevole crush per Josh