Prima di Full Monty e dei Centocelle Nightmare ci furono loro, i Chippendales, leggendari spogliarellisti che hanno segnato gli anni ’80 statunitensi grazie alla geniale intuizione di “Steve” Banerjee, immigrato indiano improvvisamente diventato l’improbabile fondatore di un impero. Una storia incredibile segnata da fortuna, intuizione, muscoli, sesso, sangue e omicidi, ora diventata serie true crime in uscita l’11 gennaio su Disney+.
Ecco a voi i Chippendales nasce dal libro Deadly Dance: The Chippendales Murders di K. Scot Macdonald e Patrick MontesDeOca, con Robert Siegel autore di uno script brillante e avvincente, in grado di riportare in vita tempi in cui il “sogno americano” era apparentemente ancora punto fermo nell’immaginario collettivo, stella polare da seguire per chiunque ambisse ad avere successo nel Paese delle opportunità, di qualunque etnia fosse. Ed è qui che Somen Banerjee, nato a Mumbai l’8 ottobre del 1946, guarda al sole con l’obiettivo di farlo suo, raggiungendolo rapidamente per poi bruciarsi, dinanzi al proprio ego e all’endemico razzismo a lungo vissuto sulla propria pelle, e una volta diventato potente riciclato con devastanti interessi.
Dopo aver gestito una stazione di servizio Mobil riuscendo a risparmiare oltre il 90% dello stipendio per 5 anni, Banerjee acquista una discoteca a Los Angeles per aprire un club di backgammon. Idea bizzarra che presto naufraga, fino a quando in un locale gay, davanti ad alcuni cubisti mezzi nudi sotto una doccia, partorisce l’idea del decennio. Realizzare una serata per donne, di spogliarello maschile. Mai vista prima né lontanamente immaginata, “perché le donne non sono come gli uomini”.
E invece anche le donne hanno gli ormoni in subbuglio e il Chippendales presto esplode, grazie anche al decisivo apporto del coreografo Nick De Noia che plasma quegli aitanti maschi in spogliarellisti in grado di ballare, intrattenere, eccitare. Ma il conflittuale rapporto tra Steve e Nick continua a lacerarsi sempre più, con il primo ossessionato dal bisogno del riconoscimento costante e desideroso di ribadire le origini della propria creazione, e il secondo accecato dalla popolarità che presto lo travolge, tra interviste e programmi tv a fargli la corte. Nel 1987 De Noia viene ucciso, a New York, nel proprio ufficio. L’FBI si interessa al caso e Banerjee diventa il primo e unico sospettato con le pesantissime accuse di tentato incendio doloso, racket e omicidio su commissione…
Otto episodi da cui si fa fatica a staccarsi, per quanto trascinanti nel tratteggiare i lineamenti di due personaggi così diversi eppure così simili, alla spasmodica ricerca di quel successo e di quella fortuna che non tutti sono in grado di gestire, una volta raggiunta. Kumail Nanjiani, che è anche produttore esecutivo, è impeccabile nel dare credibilità ad uno “Steve” Banerjee a più facce.
Brillante e gentile con l’amata moglie Irene (Annaleigh Ashford) ma anche sciocco e diabolico, generoso e vendicativo, vittima e autore di discriminazioni, cresciuto con il mito di Hugh Hefner e il sogno di diventare qualcuno negli Stati Uniti d’America, rendendo orgogliosa quella famiglia indiana da sempre legata alla tipografia e dichiaratamente imbarazzata dai suoi spogliarellisti.
Al fianco di Nanjiani troviamo Murray Bartlett, volto di Looking esploso a 50 anni grazie a The White Lotus qui nei panni dell’uomo che ha trasformato in qualcosa di reale, ipnotico e concreto l’iniziale folgorazione di Banerjee. Fallito il primo matrimonio con l’attrice Jennifer O’Neill, De Noia inizia a vivere la propria omosessualità alla luce del sole, intrecciando una storia d’amore con il produttore Bradford Barton, nella serie interpretato da Andrew Rannells. Terza incomoda la costumista Denise, madre dei famigerati pantaloni a strappo qui interpretata dalla solita meravigliosa Juliette Lewis, innamorata di un uomo che mai potrà essere suo.
Steve vs. Nick. Nick vs. Steve. È complicato scovare il vero ‘villain’ di Welcome to Chippendales, perché non ci sono stati vincitori né vinti in questa assurda storia che sembra uscita dalla penna dei fratelli Coen, se solo non fosse realmente accaduta, nessun sopravvissuto al cospetto di un impero costruito su tanga rinforzati e corpi luccicanti da parte di un outsider, uno svantaggiato, un immigrato dalla pelle scura tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.
Matt Shakman, che aveva già diretto nove episodi di Wandavision nel 2021, Gwyneth Horder-Payton, Nisha Ganatra e Richard Shephard sono i registi di una serie che non finisce mai di stupire, tra decisioni incredibilmente vincenti e altre clamorosamente sbagliate, specchio di un’America razzista e maschilista, tormentata da una chimera chiamata “scalata al successo”, da agguantare costi quel che costi.
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