L’edizione online de Le Petit Robert, dizionario della lingua francese, ha aggiunto iel e iels, pronomi personali non binari di terza persona; il primo per il singolare, il secondo per il plurale.
Come specificato nella definizione dei pronomi, questi sono usati nella comunicazione inclusiva per riferirsi a una persona di qualsiasi genere, menzionando anche le grafie alternative ielle e ielles.
Iel e iels, come molti termini cosiddetti inclusivi, cioè rispondenti a dinamiche culturali frutto del fisiologico avanzamento dei tempi, nascono nel territorio dell’attivismo transfemminista e nella comunità lgbtqia+, per poi farsi oggetto d’analisi per gli studi di genere all’interno delle Accademie e da lì diffondersi in modo capillare nell’uso comune, soprattutto nella scrittura e sui social network.
Un processo lungo e radicato nelle discriminazioni e nella ghettizzazione di un’intera fascia di popolazione a cui la lingua (ricordiamo: processo culturale frutto della storia degli uomini e di chi la storia può scriverla, e non un monolite inscalfibile piovuto dallo Spazio) sta stretta ed è costretta a inventare nuovi termini, o modificare gli esistenti, per ricavarsi uno spazio di rappresentazione e tolleranza.
La direttrice editoriale del Dizionario, Marie-Hélène Drivaud, ha dichiarato “Abbiamo esaminato le statistiche che mostrano come molte persone hanno cercato la parola ‘iel’, quindi abbiamo pensato che avesse senso dare loro una risposta“.
Le Petit Robert utilizza e aggiorna da tempo i lemmi al suo interno, per riflettere e rappresentare la comunità. Nel 1995, è stato il primo dizionario francese a includere la parola “omofobico” e una sua definizione. Nel 2019, i termini “lesbofobia“, “trans” e “queer” sono stati registrati per riconoscere il loro uso frequente e lo scorso anno il dizionario ha aggiunto la definizione di “transfobia” e ha aggiornato quella di “genere” e “transizione”.
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Il politico francese di La République En Marche, François Jolivet, ha twittato condannando la decisione del Dizionario.
“Le Petit Robert, un dizionario che si pensava fosse un riferimento, ha appena integrato le parole “iel, ielle, iels, ielles” nel suo sito. I suoi autori sono quindi attivisti per una causa che non è affatto francese: il #wokismo. Ho scritto all’Académie française”.
Jean-Michel Blanquer, Ministro dell’Istruzione francese ha dichiarato che “la scrittura inclusiva non è il futuro della lingua francese“, e sarà vero, in quanto “la scrittura inclusiva” è il presente. Lo strato che finora è rimasto nascosto, adesso tenta di aprire piccole crepe e di ottenere una voce per contribuire al dibattito pubblico.
In Italia, ci si arrovella attorno allo schwa, icona delle più grandi scemenze. I politici e giornalisti nostrani sono ormai pigri, hanno impiegato una carriera intera per non sbagliare un congiuntivo su dieci, vuoi che ora imparino il significato di cis o la corretta apertura della bocca per pronunciare lo scevà?
Risale allo scorso 24 settembre, una nota dell’Accademia della Crusca, redatta dal linguista Paolo D’Achille, secondo cui il genere grammaticale non corrisponde al genere biologico, quindi l’asterisco (*) e lo schwa (ə) non sono ammessi nella lingua italiana.
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I dialetti, vere e proprie lingue da cui quella italiana riceve linfa e fermento, presentano sia nel parlato che nello scritto la tanto discussa vocale, come ci insegna il maestro Premio Strega Domenico Starnone. Nella sua ultima raccolta di racconti, si susseguono citazioni e imprecazioni in napoletano in cui lo ə fa da padrone.
I linguisti e gli accademici lo sanno bene, non è una novità. La lingua si evolve di pari passo con la popolazione che ne usufruisce; è uno strumento creato per far sì che gli esseri umani possano capirsi e non per escludersi vicendevolmente. Ciò che si vuol far passare come dittatura, cancel culture o vezzo inutile del XXI secolo, in realtà è un gioco di potere perpetuato da chi il potere lo ha e fa fatica a condividere. Sarebbe bene, di tanto in tanto, farsi carico di qualche dubbio, di provare a scomodarsi per il bene collettivo.
Da un lato c’è l’Istituzione, monolitica, ferma sulle sue posizioni, che ha paura di perdere la propria egemonia per dar voce a realtà che sono state respinte e marginalizzate, per decenni, al fine di tener ben salda la propria polverosa posizione. Dall’altra c’è una moltitudine di culture che freme e porta con sé una forza creativa capace di seminare nuove visioni e nuovi modi dello stare insieme e di far comunità. La Storia insegna che i risultati si vedranno, non ora, magari tra pochi anni o molti decenni. Ma il cuore ardente del sottobosco di culture farà sgretolare le torri d’avorio in cui i pochi si sono arroccati, per conservare un privilegio che non ha più alcun senso.
Un raro caso, questo del dizionario francese, in cui un’Istituzione decide di aprirsi e accogliere ciò che vive al di fuori di essa e non viene considerato. Come è dichiarato in una nota rilasciata da Le Petit Robert, “definire le parole che descrivono il mondo, significa aiutare a comprenderlo meglio“.
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