Lo schwa è quella piccola lettera abbastanza potente da mandare in cortocircuito comunque.
L’Accademia della Crusca non vuole sentirne parlare, ma la sfida ai puristi della lingua italiana è iniziata già da tempo: da Gabriele Lodetti che l’ha inserita nel tema di maturità al linguista Andrea Antonio Orlandi che ci ha fatto una tesi di laurea sopra, fino alla Rai che l’ha utilizzata nei sottititoli dei Diversity Awards 2023 o ma anche il videogioco Wild Hearts, diventata prima opera audiovisiva a usare lo schwa nel doppiaggio italiano.
Piaccia o non piaccia, la rivoluzione va avanti: è ora il turno del Conservatorio di musica Giovan Battista Martini di Bologna, che nei documenti ufficiali riguardanti l’elenco degli ammessi per l’anno accademico 2023/2024 ha indicato chiunque con lo schwa.
Non più “idoneo/a” o “ammesso/a” ma idoneə e ammessə. Un dettaglio non da poco, che conferma come anche gli ambienti accademici si stiano sempre più sensibilizzando ad un linguaggio inclusivo e non binario.
Ne ha parlato anche Michela Murgia, sin da sempre pro-schwa e alle piccole grandi rivoluzioni, che ha scritto ironicamente nelle sue Instagram stories: “Lo schwa non lo userà mai nessuno” per poi allegare lo screenshot delle graduatorie con il simbolo sui documenti ufficiali.
Murgia è solo una dellə tante a sostegno: dall’autrice di Ragazz*, Lorenza Bernardi, che l’ha definita essenziale per “decretare l’esistenza di una persona o di una cosa” e “dare il nome a qualcosa significa dargli la dignità di un’esistenza“, a Vera Gheno che pur riconoscendone alcuni limiti, ne ha rimarcato l’importanza in quanto “offre potere a chi resta ai margini”.
Come ribadiscono in tantə, lo schwa non è la soluzione definitiva, ma contribuisce a mantenere il dibattito aperto, a porre l’attenzione sulle esigenze di ogni soggettività, permettendo il dinamismo di una lingua che non può e non vuole restare ferma.
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