Schwa e la richiesta di un linguaggio inclusivo: provocazione o riforma?

Cosa sta diventando questa lotta che somiglia più a una fossa di leoni? È sufficiente andare a una manifestazione, prendere un megafono e dire “Buongiorno a tuttə”? Ho molte domande. E sono ragionevolmente certo di non essere l'unico.

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schwa - linguaggio inclusivo
6 min. di lettura

Roma, aperitivo di un’importante casa editrice. Diverse bottiglie vuote, molti i libri pubblicati nella biografia delle persone presenti, pochissimi i maschi bianchi, etero, cisgender.

“Ieri mi hanno rimproverato perché non ho detto tuttu alla presentazione. Ma solo tutti e tutte”.  “Senti l’uso della Schwa è una roba che va bene se devi scrivere un documento Pride. Io ci ho provato. Mi sembra di parlare in sardo”. “In realtà è un modo per includere chi non viene mai nominato. Io ci scrivo i post” “Ci scrivi i pezzi?” “No, sai che lavoro in un’agenzia stampa. Già è tanto se possiamo inserire la chiocciola nel sistema” “Potreste usare l’asterisco però” “Ma vi sentite? Ma che senso ha? Per non escludere alcuna persona si sottintendono il maschile e il femminile unici generi della lingua italiana, con un inesistente neutro la cui pronuncia è addirittura presa dalla lingua inglese? In un paese in cui si scandalizzano se scrivi Sindaca? Ma dai”. “Tu fai l’attivista devi tacere, poi dicono che sei entrata in Arcilesbica”. “Poi Alliva lo scrive”. “Di che si parla? Posso nascondermi?” “Sfuggi dalla vecchia cula de il Foglio o dall’ex assistente dell’ex ministro?” “Non si dice vecchia cula” “Non si può dire niente neanche tra di noi, come dice la vecchia cula”.

Questa storia non riguarda proprio me, riguarda noi tutti. Chiederei altri cinque minuti di attenzione, che sono molti, ma servono per provare tutti insieme a ragionare, poi a far coincidere la ragione con la traiettoria della politica, della lotta e dello stato delle cose.

Frequento abbastanza l’ambiente giornalistico da capire che non è vero che non si può dire niente. Di “Cancel Culture” ne abbiamo già parlato ed è un automatismo delle persone spaventate dal mondo che evolve. Hanno paura e quindi aggrediscono chi finalmente si fa spazio. Frequento anche abbastanza circoli e associazioni Lgbt+ per affermare serenamente che ci sono alcune cose che non ho capito. Magari non sono importanti, ma non è bello quando ti impegni e non capisci, qualunque cosa sia. Ho letto pagine e pagine, ho parlato con scrittrici, intellettuali, attivisti e attiviste eppure siamo ancora qui. Allora questo benedetto linguaggio inclusivo cos’è? Cosa sta diventando questa lotta che ogni tanto somiglia più a una fossa di leoni: non usa la schwa, usa solo il maschile inclusivo, deride l’asterisco.

Ogni tanto intuisco in questa battaglia una richiesta di senso. Entra in sintonia con ciò che portiamo avanti noi giornalisti quando facciamo i corsi di formazione ai colleghi: no, non si scrive “un trans” quando ci rivolgiamo a una donna trans. Oppure che non si parla di “nozze gay”, nessuno chiede “nozze speciali” ma solo il diritto al matrimonio per tutti. Spesso li preghiamo: evitate “famiglie gay”, che sembra il nome di una comune dove tutti i componenti sono gay. Sarebbe meglio scrivere omogenitoriali dato che è noto l’orientamento sessuale dei genitori, non quello dei figli. Ecco, cose così. Poi però emergono alcune richieste che non trovano un posto nella grammatica e nella gerarchia delle cose. In principio fu l’uso dell’asterisco. Irricevibile se non per qualche slogan del Pride. Quando mi mandano un comunicato stampa con gli asterischi penso sempre alle agenzie stampa come Ansa, Dire, Adnkronos e agli stagisti sfruttati per ripulirlo e inserirlo nel sistema dei lanci di agenzia. Poi c’è l’uso della Schwa. Non ho un’opinione precisa a riguardo, solo domande. Forse non ho studiato abbastanza o forse la comunità non è stata abbastanza chiara a spiegarsi. Sono convinto che il problema della lingua italiana sia non nominare il genere femminile, avendo solo due generi si esclude “il più debole”. Questa è una regola che risale al 1600, frate Dominique Bouhours decise che quando si incontrano due generi il superiore prevale sull’inferiore (manco a dirlo, una motivazione sessista e sono sempre loro).

schwa linguaggio inclusivo
Schwa: tra bisogno di inclusione e attivismo performativo

Adesso c’è questa Schwa che qualcuno usa, qualcuno no. Michela Marzano, filosofa e scrittrice, da sempre a fianco della comunità Lgbt+ si è posta delle domande:

“Perché sarebbe più inclusivo scrivere “carə tuttə” invece che, molto più semplicemente “care tutte e cari tutti”? Perché dovrei utilizzare lo schwa per non essere tacciata di: “persona che ha talmente interiorizzato gli stereotipi da non riuscire a modificare le proprie errate abitudini”? Cos’ha in più questa lettera, tra l’altro difficilmente pronunciabile da chi parla e scrive una lingua europea?

Lo so che sono anni che lo schwa viene utilizzato dai linguisti e fa parte dell’alfabeto fonetico internazionale. Così come so che lo schwa identifica una vocale intermedia, il cui suono è quindi a metà strada tra vocali già esistenti, e che, per pronunciarlo, si dovrebbe rilassare le componenti della bocca aprendola poi leggermente. Ma, ripeto, perché dovrei fare uno sforzo supplementare dopo averne già fatti tanti per imparare a riprodurre il suono dei dittonghi francesi (“ei”, “eu”, “oe”, “oeu”, ecc.) che spesso, anche chi parla perfettamente il francese, fa fatica a pronunciare? Perché l’inclusione dovrebbe affaticare invece di venire spontanea con le parole che già abbiamo?”

L’esercizio del dubbio è sempre una strada formidabile per la comprensione delle cose. Se questo simbolo (che “dà a pensare” come scriveva Paul Ricoeur) è un incontro fra la proposta di modifica e l’adozione della proposta, allora dobbiamo capire (dopo tutti questi anni) se funziona e se unisce, più che dividere. Se è una rivendicazione sociale, un’azione performativa per denunciare l’assenza nel linguaggio di soggettività fino a oggi escluse dal discorso pubblico, andrebbe spiegata meglio.

Se vogliamo renderla qualcosa che vada oltre la provocazione, se vuole essere una riforma della nostra lingua, allora chiedo: in che modo? Perché non basta andare a una manifestazione, prendere un megafono e dire “Buongiorno a tuttə”. Bisogna partire dalle scuole, immagino. Entrare nelle agenzie di formazione, scardinare alcune regole di grammatica italiana e crearne di nuove. Poi arrivare nei media, spiegarsi e formare. Tutto questo mentre si fa ancora confusione tra Outing e Coming Out (l’ultimo esempio lo rintracciate sulla cronaca del coming out di Vincenzo Spadafora).

Ad oggi sappiamo che il maschile non marcato è il problema. È il motivo per cui parliamo di sessismo della lingua italiana. Il “buongiorno a tutti” esclude le donne, le cancella. Va combattuto perché il suo uso è una consuetudine, non una regola. Se pensiamo che esclude le persone non binarie che non si sentono riconosciute, vanno trovate vie d’uscita semplici, ad esempio invece di inventare desinenze si possono utilizzare delle perifrasi: buongiorno a tutte le persone.

Ho molte domande. E sono ragionevolmente certo di non essere l’unico. Però ho una certezza e la scrivo per evitare strumentalizzazioni: l’autodeterminazione delle persone è uno dei diritti umani e quindi se una persona ci chiede di chiamarla al maschile o al femminile o in un altro modo non possiamo che ottemperare. Naturalmente, per chi scrive, con l’italiano è un problema. Penso al They che non ha la stessa valenza neutra che ha in inglese il they. Su TikTok c’era un trend che includeva le persone non binarie, ci ingegnava per trovare un escamotage. Potrebbe essere una strada provarci insieme. Senza darsi addosso.

Sono 30 anni che parliamo di sessismo della lingua italiana. Ma se c’è tanta confusione, e forse bisogna fare chiarezza. Non farlo, proporre sempre solo critiche e mai risposte ai dubbi mi sembra uno spreco di energia e dispersione del messaggio. Ci sono cose che non ho capito. Anche voi? Come si esce da qui? Io cerco, tanto una risposta la trovo, magari la troviamo anche noi. Insieme.

P.S. Qualcosa sempre legato al linguaggio.

Si fanno errori. Nessuno di noi è immune. Ho di recente intervistato un attivista trans performativo. Uso questo termine nel rispetto dell’autodeterminazione: “attivista è troppo alto” mi ha confessato. Nel pezzo parlo di persone trans «ftm», cioè female to male. Si dice così quando si transita dal genere femminile al maschile, mentre viene usata la sigla inglese «mtf», male to female, per il percorso opposto. Non è una regola fissa. Me lo ha insegnato Delia Vaccarello, penna de L’Unità. Attivista. Un pezzo di storia, sempre con lo sguardo puntato al futuro. Cinque passi avanti rispetto al movimento.

Per noi operatori dell’informazione è qualcosa che aiuta a spiegare: la usano dentro il New York Times, The Guardian e in tutti i più grandi giornali del mondo di stampo progressista. FTM Magazine è una delle più importanti riviste al mondo di cultura transmaschile.

Eppure, sono stato per così dire rimproverato: è un termine archiviato. La cosa mi ha lasciato perplesso. Ho chiesto: come mai? Mi è stato risposto da questo attivista che è complesso da spiegare. Siccome c’è sempre da imparare ho chiesto a tutte le persone che conosco, che ho intervistato e che attraversano la mia vita ogni giorno. Persone trans*, non binarie. Mi hanno detto che no, per loro non è così. Poi pensandoci bene, un’attivista trans mi ha risposto: “Sai, dipende”. Dipende perché la complessità dell’universo Lgbt merita ascolto, prima di tutto, uno sforzo grande di comprensione e non è granitico. E non ci sono regole universali.  Sul piano di significazione semantica, in un contesto mainstream totalmente a dieta su certe questioni, è importante spiegare bene alla persona che legge di cosa stiamo parlando e quindi anche ricordare che sono vite che viaggiano nei generi, come ci ha insegnato l’immensa Porpora Marcasciano, attivista storica del movimento trans italiano (Guardate “Divieto di Transito”, il corto di Roberto Cannavò su Porpora). Transizione non indica il transito dei treni, ma il passaggio da un modo di essere o di vita a un altro, da una condizione o situazione a una nuova e diversa (la definizione è presa dalla Treccani). Mi spiace aver usato una terminologia che offende l’intervistato. Ma allo stesso modo, aver ascoltato altre persone nella comunità mi ha messo in guardia su un tema che riguarda chiunque: facciamo attenzione attiviste e attivisti performativi. Studiamo. Informiamoci anche se pensiamo di avere la verità in tasca e di poterla rappresentare solo con il nostro corpo e un pugno di like. E cerchiamo di ascoltare. Preferirei non si desse per scontato regole universali che universali non sono. Si chiama sovradeterminazione. È il contrario dell’attivismo. Troppo anche per chi fa solo attivismo performativo.

 

L’Accademia della Crusca respinge schwa (ə) e asterisco (*), ma noi dobbiamo andare oltre >

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arbo 17.11.21 - 17:16

Ma basta con ste pagliacciate... E' veramente necessario caricare su tutti per fare numero? La stragrande maggioranza della gente e' normale, non fa casino perche' ha interessi e una vita propria, e pensa a cose serie. Tirando dentro ste persone assatanate con schwa e asterischi si rischia di perderne il triplo perche' essere associati ai rompiballe di professione piace veramente a pochi. "l’autodeterminazione delle persone è uno dei diritti umani e quindi se una persona ci chiede di chiamarla al maschile o al femminile o in un altro modo non possiamo che ottemperare" E invece no. Uno si regola come vuole. Sta poi all'altra persona decidere se impuntarsi o fare altro per il resto della giornata. Se io insisto che la gente mi chiami professore di fisica nucleare, gli altri ( giustamente ) mi ridono in faccia. Se uno per farsi notare non ha altri metodi che dire di non essere di nessun genere e inventarsi richieste assurde, e' meglio che passi il tempo a cercare modi di farsi notare diversi dall'essere ridicolo. "Bisogna partire dalle scuole" ma per piacere. Bisogna invece piantarla su twitter, dove immagino sta gente si trova in nella loro camera di risonanza, convincendosi che qualcuno li ascolti... Ste trovate che uno non ha un genere sono talmente stupide non ci sarebbe da meravigliarsi se un giorno iniziano a lamentarsi che il genere l'hanno perso per colpa del 5G. Cosi' poi possono strillare che la schwa e l'asterisco sono simboli di oppressione tecnologica e pretendono che la gente usi ci metpretendere che si usino la pesca e la melanzana.

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