Tra i libri dell’estate appena trascorsa, Il caravan di Jennifer Pashley (Carbonio Editore, 2020) si è rivelato una piacevole sorpresa. Ambientato nel Sud degli Stati Uniti, questo thriller si presenta come un buon mix di vecchio e nuovo, su cui spicca un personaggio in particolare. Si tratta delle cattiva di turno, una giovane serial killer lesbica che va in giro in pick-up e ha il brutto vizio di uccidere le sue amanti.
Quando capitano dei personaggi così forti per gli scrittori sono dolori. Perché fanno quello che gli pare e ogni guinzaglio è inutile. Pure Jennifer Pashley e Il caravan ne sanno qualcosa. Forse insoddisfatta per il ruolo che la trama avrebbe preteso dalla sua antieroina, alla scrittrice non rimaneva che mettere mano alla struttura del thriller. Non solo le assegna un copione da coprotagonista ma, succube compiaciuta della sua creatura letteraria, non avverte nemmeno il bisogno di nasconderne l’identità. Khaki – questo il suo nomignolo – si impone così come la colpevole fin dalle prime pagine del romanzo, privando il lettore del brivido della scoperta. Questa scelta insolita offre però il vantaggio di osservare uno scorcio di realtà inaspettato che accende la curiosità.
Quando non uccide, Khaki gestisce un’organizzazione criminale. Piccola, ma da non sottovalutare. Con lei lavorano alcune ragazze, adolescenti o poco più: sono quelle che ha raccolto dalla strada e che per il momento ha risparmiato dalle sue micidiali attenzioni. Sono veramente lesbiche o lo fanno solo per convenienza? Khaki non pare domandarselo. Se quello che vuole è un harem fra cui scegliere la prossima vittima, le motivazioni sono meno importanti della fedeltà che le dimostrano.
Quando le ha raccolte erano poco più che gatti randagi; ognuna di loro fuggiva da una realtà familiare complicata e spesso violenta di cui gli uomini erano responsabili. Padri, mariti o fidanzati: nessuno di loro era innocente, nessuno di loro lo sarà mai. Khaki lo sa bene: per delle giovani donne la libertà non è una condizione innata, o almeno non da quelle parti, ma una pretesa che va saputa imporre. Va letteralmente strappata con le unghie e con i denti dalle mani degli uomini.
La promessa di libertà che Khaki ha instillato nelle sue protette rispecchia la sua personale concezione di un mondo senza uomini. La vita di malaffare che le ragazze si ritrovano a condurre è, a suo modo, una dimostrazione di indipendenza, ma anche una sfida lanciata alla ripartizione sociale dei ruoli. Fra tutte le possibilità che aveva, non è un caso che Khaki si dia alla delinquenza e conduca pure le altre su quella strada. Come lesbica che si abbandona alla criminalità, ottiene in una sola volta tutte le cose che considera fondamentali: l’ebrezza di una libertà incondizionata e il definitivo spodestamento degli uomini, già rifiutati e ora anche privati della loro ultima, più virile prerogativa.
Il caravan è un romanzo attuale e discretamente impegnato. Nelle sue pagine parità di genere e rivendicazioni LGBT si incontrano con naturalezza, e insieme incanalano la narrazione in una prospettiva critica che il lettore finisce per apprezzare senza aspettarselo. La cosa che in generale ammiro dei romanzi stranieri (e americani) a tematica omosessuale è la loro assoluta mancanza di premesse. I personaggi si presentano per quello che sono dall’inizio, e non hanno bisogno di introduzioni che rendano conto di quello che poi faranno. Gli autori italiani, anche bravi, devono ancora fare tanta strada.
In generale, gli aspetti più interessanti del Caravan sono quelli che ne integrano la trama. La storia, di per sé piacevole ma priva di guizzi importanti, ha uno stile fresco e letterariamente ambizioso. Alcune scelte di Jennifer Pashley (come quella di rivelare subito l’assassino), in un thriller possono costituire un bel problema, ma le contromisure che ha adottato risultano efficaci. L’autrice ha rimediato all’inconveniente arricchendo il romanzo con atmosfere e spunti di riflessione importanti, che di fatto lo proiettano verso una costellazione letteraria più alta. L’unica alla quale Pashley mirasse davvero e sentisse di appartenere.
Per il prossimo libro sarebbe auspicabile non forzare troppo la struttura perché il rischio è di non ripetersi. Stavolta l’esperimento è riuscito, e il merito è tutto del modo imprevedibile in cui gli elementi si sono fusi insieme. La migliore qualità del Caravan è quella di essere una creatura letteraria abbastanza strana da farsi notare.
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