Il Sole 24 Ore dedica un editoriale allo schwa dal titolo “Chi ha paura dello schwa cattivo?“. E per farlo si affida allo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi e al ricercatore Guido Giovanardi.
Il quotidiano economico-finanziario più diffuso del Paese scomoda la sua posizione, baluardo e simbolo di una certa nicchia di popolazione, quella privilegiata, come amiamo dire oggi. Il Sole storicamente dell’uomo che fattura (molto milanese), che ha il controllo della situazione, che ha una certa macchina e un certo orologio al polso: quell’uomo lì, anche quell’uomo lì, oggi non può (e non deve) più ignorare lo schwa, cioè il linguaggio inclusivo.
Qui si procede per iperboli, ma il senso dietro all’articolo, comparso lo scorso 25 novembre sul Sole 24 Ore, sembra proprio questo.
Tutta l’altra fetta di popolazione (la maggioranza) che è stata ghettizzata e annichilita dal sopracitato uomo-finanza – miglior compagno del Sindaco Sala (La Milano che fattura!) – ora ottiene uno spazio anche dove mai si sarebbe pensato di vederla.
Sarà una caritatevole concessione, sarà che il cambiamento corre e bisogna stare al passo, sarà che l’evoluzione della lingua è la nuova frontiera di chissà quale mercato su cui bisogna puntare (GenZ sei in ascolto? La moda come sempre c’era già arrivata), ma insomma, l’editoriale è stato pubblicato e lo schwa e il nome dell’Istituzione ultra-machista del nostro Paese sono ormai inscindibili.
“Proviamo a unirci al dibattito, tutt’altro che ozioso, come dicono alcun* […], partendo però da una prospettiva psicologica che finora è mancata al dibattito”.
L’editoriale, neanche a dirlo, essendo a firma di Lingiardi, è un’attenta analisi del linguaggio inclusivo dal punto di vista psicologico. Si parte dall’esperienza dell’analisi, in cui il paziente dovrebbe essere riconosciuto e accolto nella mente del terapeuta. Da lì, i due psicologi dichiarano che “il linguaggio, dentro e fuori la stanza della terapia, è un dispositivo fondamentale per il riconoscimento reciproco. Lo sappiamo dalle persone transgender o non-binarie quanto sia importante usare i pronomi giusti, quanto quell’uso permetta loro di percepire uno spazio sicuro, un luogo dove, a volte per la prima volta, potersi esprimere liberamente ed essere finalmente viste per ciò che sentono di essere”.
“La violenza fisica è spesso figlia della violenza verbale. Dall’hate speech all’hate crime.Riconoscere l’altro non significa rinunciare a se stessi, bensì mettersi in dialogo, ascolto, connessione. Significa creare legami. Non riconoscere chi si trova in minoranza, escluso dalle regole di un linguaggio mainstream […] provoca nelle persone “taciute” un senso di squalifica che può fare male”.
L’articolo è in realtà una risposta a delle dichiarazioni del sociologo Luca Ricolfi, il quale ha ascritto al linguaggio inclusivo fantascientifiche colpe, facendolo diventare “un pericolo per la Democrazia”. Il sociologo, inoltre, mette sullo stesso piano l’inclusione e la cancel culture, legandole in un rapporto causa-effetto del tutto insensato. Lingiardi risponde dichiarando “Noi pensiamo che siano due tendenze del tutto diverse. L’obiettivo dell’inclusione è quello di allargare il campo della comunità civile, della partecipazione democratica, della fiducia tra esseri umani. Prevede l’assunzione della responsabilità di ciò che si dice e di come lo si esprime. La cancel culture ha obiettivi e effetti opposti”. A questo punto i due studiosi spiegano cosa è realmente la cancel culture, riprendendo le parole dello storico Aldo Schiavone:
“il fanatismo della cancel culture cavalca una tendenza che non nasce dalla political correctness ma è frutto di una dinamica più profonda e dominante della nostra contemporaneità […] Si tratta di una forza globalizzata, legata al primato della tecnologia e del mondo virtuale, orizzontale e immediato, che cerca di strutturare un presente «completamente autosufficiente» che «perde il bisogno di avere un passato», «un continente che si basta da solo, autoreferenziale in ogni componente […]. Il passato è meno di un oggetto desueto, o una terra straniera, come una volta si diceva: appare semplicemente come una cosa superflua»”.
Un articolo che prova a fare luce su tutti i punti oscuri della contemporaneità e sulle mistificazioni attuate da chi di scomodarsi dal proprio trono proprio non va. Proprio per questo motivo sorprende che tale operazione sia stata fatta dal Sole 24 Ore, per i sopracitati motivi. Ma noi non possiamo fare altro che ringraziare, chiudendo con le parole di Lingiardi e Giovanardi:
© Riproduzione Riservata“Usare pronomi giusti, forme plurali rispettose […], riflettere sulle potenzialità creative e dunque inevitabilmente in progress del linguaggio […] non cancella niente, ma intensifica la rete degli incontri tra persone e conoscenze. Promuove, in una parola, la cultura. E conferma una cosa che abbiamo sempre saputo: che il linguaggio cambia perché è vivo ed è figlio dei tempi. O qualcuno dà ancora del “voi” al proprio padre, dice della propria zia non sposata che è “ancora signorina”, parla dei cinesi come “musi gialli”, degli avari come “rabbini” e naturalmente dei gay come “ricchioni”? In fondo perché cambiare la lingua, è così antica!”.