Da qualche anno, la casa editrice Fandango sta ripubblicando i libri di James Baldwin, lo scrittore e attivista afroamericano che, al pubblico LGBTQ+, è noto soprattutto per il romanzo del 1956 La stanza di Giovanni. Come attivista, Baldwin si è speso senza sosta nella battaglia per i diritti civili delle persone di colore nell’America degli anni ’60, anni di battaglie che lo scrittore ha raccontato nei suoi libri, fra i quali La prossima volta il fuoco e Una strada senza nome, il romanzo-saggio-autobiografia di cui vi parlo oggi pubblicato per la prima volta nel 1972 e che dopo 50 anni è ancora – purtroppo, è il caso di dirlo – di grande attualità.
In questo libro Baldwin esamina alcuni momenti selezionati della sua vita alla luce delle manifestazioni e delle lotte che infiammavano la società americana del tempo e a cui lui lo stesso prese parte come protagonista. Conobbe sia Martin Luther King sia Malcolm X, non approfonditamente come avrebbe voluto, ma abbastanza da consentirgli di ricordarli nel suo libro con parole ispirate. Tutto il libro di Baldwin, a dire il vero, è un libro ispirato; si sentono distintamente la passione e la verità di chi è stato sulle barricate, di chi non si è mai sottratto ai suoi doveri morali e civili, di chi la vita l’ha rischiata davvero e a più riprese.
L’attualità di Una strada senza nome è su due fronti: il primo riguarda le notizie di cronaca che continuano a giungere dall’America, dove il problema razziale è più acceso che mai e la polizia non sembra aver perso le abitudini che aveva negli anni ’60, quando i giovani neri finivano lungo distesi sui marciapiedi praticamente ogni giorno. Dall’altro lato c’è la lotta per i diritti civili, una lotta che il nostro millennio ha ereditato da quello passato e che nel corso del tempo si è estesa anche ad altre categorie sociali, oppure ha finito per metterle meglio a fuoco.
Nell’America di allora, una figura come quella di James Baldwin era un ricettacolo di diversità. Un diverso fra diversi, visto che proprio all’interno della comunità afroamericana newyorkese la sua omosessualità non mancò di causargli dei problemi. Di sicuro, quella di Baldwin era una personalità che il suo tempo non aveva gli strumenti per poter decifrare. Come Baldwin ha ricordato anche in Una strada senza nome, una parte fondamentale della sua liberazione, quella riguardante il proprio orientamento sessuale, avvenne lontano da casa, in Francia. Nel libro, c’è un brano molto bello che rende la misura di questo passaggio e che mette in dialogo i due tasselli fondamentali della biografia e dell’identità di James Baldwin:
“A Parigi, per un po’ avevo fatto la fame, ma avevo imparato un paio di cose: innanzitutto, mi ero innamorato. O meglio, a essere precisi mi ero reso conto, e per la prima volta accettato, che l’amore non era solo una generica possibilità umana, e neppure semplicemente quell’esperienza disastrosa che spesso, ormai, – dal mio punto di vista – era stata per me, né era qualcosa che accadeva ad altre persone come la morte, né solo un pericolo mortale: faceva parte delle mie possibilità, perché era qui, respirava e ruttava accanto a me, ed era la chiave della vita. Non soltanto la chiave della mia vita, ma della vita stessa. Il mio innamoramento non costituisce in alcun modo l’oggetto di questo libro, tuttavia l’onestà mi obbliga a porlo tra i dettagli, perché ritengo – lo so bene – che la mia storia sarebbe stata molto diversa se l’amore non mi avesse costretto a cercare di scendere a patti con me stesso. Aveva cominciato a tendermi la trappola del colore, perché le persone non si innamorano in base al proprio colore […], e quando gli innamorati litigano, come inevitabilmente fanno, a farli litigare non è il grado di pigmentazione della loro pelle, e non possono usare, a qualsiasi livello, il colore della pelle come un’arma. Ciò significa che bisogna accettare la propria nudità. La nudità non ha colore: ciò può risultare una novità solo per chi non ha mai coperto o non è mai stato coperto da un altro essere umano nudo.”
Una strada senza nome non è un libro a tematica LGBTQ+ in senso tradizionale, ma rappresenta ugualmente una lettura di grande ispirazione per ogni minoranza in lotta. Baldwin, il diverso fra i diversi, il discriminato fra i discriminati, è un nome che si associa ora a una parte ora all’altra, forse perché si ha quasi timore – per lui, nonostante ci abbia lasciato da ormai tanto tempo – a pensarlo schierato contemporaneamente su due fronti così caldi. Per lui, il fronte, era quello della battaglia per i diritti degli afroamericani d’America, ma con i suoi libri ha prestato servizio anche sull’altro e con valore, per quanto ciò lo avesse più volte esposto al fuoco amico. La sua figura complessa e sfaccettata varrebbe la pena di essere riportata all’attenzione che merita. A prescindere dal focus, ognuno dei suoi libri è in grado di insegnare molto sul tema dei diritti e dell’inclusione, sulla necessità di resistere e di lottare. Uniti. Mettendo da parte le divergenze. Perché il terreno più fertile per la discriminazione sono le crepe fra i gruppi che dovrebbero invece fare fronte comune.
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