L’ultimo libro dello scrittore inglese Julian Barnes, L’uomo con la vestaglia rossa (Einaudi, 2020), è il racconto di un’epoca molto importante nella storia della comunità LGBTQ+. Il libro è ambientato nell’Europa degli anni ’80 dell’800 (tra l’Inghilterra e la Francia) e ha per protagonisti tre uomini i cui nomi, di primo acchito, dicono molto poco. Sono tre francesi e uno di loro, Samuel-Jean Pozzi, era un rinomato medico. Oggi, comunque, è la sua immagine a godere della fama che un tempo apparteneva al suo nome, in quanto nel 1881 il dottor Pozzi venne ritratto dal pittore americano John Singer Sargent nel quadro che ha ispirato il titolo del libro di Barnes. Il nome del dipinto è Dottor Pozzi a casa, ma ciò che risalta e che lo fa ricordare è la vestaglia rosso acceso che veste con grande eleganza.
Pozzi era un eterosessuale di razza, un grande amatore; la storia LGBTQ+ che si dirama nelle pagine di L’uomo con la vestaglia rossa (una storia nella storia, un subplot a volte intenzionale altre volte accidentale) riguarda infatti gli altri due personaggi di questo eclettico “trio”, un poeta e un compositore; entrambi nobili, entrambi omosessuali: il conte Robert de Montesquiou-Fezensac e il principe Edmond de Polignac.
Belle Époque e omosessualità
La seconda metà del XIX secolo è ricordata anche come l’epoca dei primi grandi scandali. Scandali montati ad arte come l’affaire Dreyfus o che riguardavano la vita privata delle persone, sulle quali la nascente stampa moderna stava testando la propria forza. Molte personalità in vista furono gettate in quel primordiale tritacarne mediatico, e alcune di queste persone erano omosessuali. Ricattati, messi alla gogna, emarginati, gli omosessuali che finivano nel mirino della stampa e della magistratura dell’epoca avevano il futuro segnato. Tra questi si ricordano il magnate dell’acciaio Friedrich-Alfred Krupp, inizialmente stroncato proprio in Italia da Matilde Serao sulle colonne di “Il Mattino” di Napoli; il barone Jacques d’Adelswärd-Fersen, accusato di pederastia e messe nere e distrutto dalla stampa parigina; e il più famoso di tutti, il dandy Oscar Wilde, demolito come uomo dai cronisti londinesi e poi condannato a cinque anni di carcere duro nel carcere di Reading.
Julian Barnes ha scritto L’uomo con la vestaglia rossa basandosi su ricerche in archivio e documenti di prima mano, tra cui atti processuali, epistolari, diari, ma anche fotografie e ritratti inseriti nell’apparato iconografico messo a corredo del testo. Tutto ciò ne fa un libro di storia, ma la bellezza della prosa è la stessa dei suoi migliori romanzi. Il lettore deve essere interessato e conoscere almeno un po’ il periodo poiché, è inutile nasconderlo, L’uomo con la vestaglia rossa è un libro colto.
Gli eventi, però, sono quelli della cronaca e presentano l’epoca in tutta la sua sontuosa mondanità. Era del resto proprio la mondanità di simili ambienti a favorire le interazioni omosessuali e lesbiche tra i loro frequentatori, per i quali la vita vera si svolgeva soprattutto dietro la facciata del buon costume, in camere da letto bordate di velluti in cui era consentito gettare momentaneamente la maschera e lasciarsi andare all’esplorazione delle proprie, autentiche pulsioni. È stato da luoghi come questi – camere da letto, alcove, boudoir, fumoir – che l’omosessualità è lentamente uscita dall’anonimato; dapprima ricattata e trascinata in piazza dalla stampa, poi guadagnandosi un minimo di visibilità e di tolleranza (almeno in alcuni, specifici e selezionatissimi ambiti) nel primo Dopoguerra.
L’uomo con la vestaglia rossa è uno di quei libri che vanno ad aggiungere un’altra serie di pezzi al variegatissimo mosaico sociale e culturale dell’Europa fin de siècle. L’omosessualità non è il nucleo del libro, ma ne rappresenta comunque un filone importante. Quello che prende forma nelle pagine di Julian Barnes è un salotto letterario dal profilo altissimo in cui si incontrano i grandi nomi della Belle Époque culturale. Europea e, ormai, anche molto americana.
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