È Pride Month: siamo tuttə pronte a marciare, protestare per i nostri diritti, celebrare chi siamo ma soprattutto prenderci finalmente uno spazio dove dar voce a tutte le sfumature della nostra comunità. Eppure, ogni anno il Pride, almeno in Italia, scomoda più di qualche dubbio: il Milano Pride 2022 vedrà sul palco due team di conduttori, da una parte Katia Follesa e Valeria Graci insieme a Pietro Turano, dall’altra Michela Giraud e Pierluca Mariti. Senza nulla togliere al talento e la bravura dei nomi coinvolti, la domanda per moltə è sorta spontanea:
dove sono le persone transgender? Le persone disabili? Le persone non bianche? Le lesbiche? Le persone intersex? Le persone asessuali? Nel momento in cui dovremmo essere tuttə al centro e prendere il microfono, ampia parte della comunità rimane ancora ai margini.
L’effetto generato è che uno degli eventi con più visibilità e affluenza per la comunità LGBTQIA+ diventa un palco per persone eterosessuali o cisgender, dando priorità agli sponsor rispetto alle innumerevoli soggettività che meriterebbero voce: “Il massimo che riusciamo a far è cedere il palco a uomini cis abili gay, decisione di cui certamente sono felice, ma che è oggettivamente figlia di un immobilismo a cui a questo punto è inaccettabile assistere ad un evento così cruciale per la comunità tutta” scrive Francesco Cicconetti (anche conosciuto come @mehthts nelle sue Instagram) ribadendo che se oggi possiamo permetterci di festeggiare i Pride, è grazie a donne trans e nere che hanno rischiato la vita per permetterci questi privilegi in più, anche ai giorni nostri. Eppure questa intersezionalità di esperienze, in grado di unire più gruppi marginalizzati, sul palco del Pride ancora non c’è.
Per antonomasia, la comunità queer durante e fuori i Pride, ha dato estrema rilevanza al ruolo delle icone, tendenzialmente alleatə dal mondo dello spettacolo, prontə a rappresentarci e utilizzare la propria piattaforma e privilegio, facendo da cassa di risonanza per il grande pubblico. Ma già nella nostra recente intervista con l’attivista Isabella Borrelli, direttamente del Roma Pride, si è riflettuto su come il ruolo dell’icona ha fatto un po’ il suo tempo : “Abbiamo ancora bisogno costantemente di una persona non parte della comunità a rappresentarci? Secondo me è arrivato anche il momento di dimettere questo ruolo e rivendicarlo per noi.” dice Borrelli: “In generale io credo che questo momento iconografico sia arrivato un po’ ad un momento di svolta, e dovemmo cominciare ad essere noi i portatori e portatrici delle nostre istanze. Per tutte queste icone etero e cis che hanno dominato il mondo della musica, tante altre persone LGBTQIA+ non hanno mai fatto coming out apertamente“.
Ma non solo le persone transgender, anche le donne lesbiche oggi più che mai rimangono invisibilizzate all’interno della narrazione generale, sempre con un ruolo prioritario all’uomo gay cis e abile, più “rassicurante e famigliare” per il pubblico mainstream. L’invisibilizzazione nella conduzione dei Pride si estende anche alle persone con disabilità, escluse dalla conversazione o l’evento stesso: “Si è sentito molto parlare di intersezionalità, ma le persone disabili sono state incluse davvero, oltre che attraverso l’accessibilità, anche all’interno degli interventi dei Pride?” dice Simone Riflesso, attivista che si sta occupando del Sonda Pride, mappatura ufficiale per l’accessibilità ai Pride Italiani: “Alle parole devono seguire i fatti, o le persone disabili e neurodivergenti continueranno a rimanere escluse“.
Al contempo, l’argomento è sempre più complesso e stratificato del previsto: investire i personaggi più noti e vicini al grande pubblico può permettere una maggiore affluenza e visibilità, e avvicinare alle nostre tematiche un pubblico che in caso contrario non si sarebbe mai informato. Ma come evidenziato anche da Cicconetti, il problema è strutturale, per un Pride che ancora ha un disperato bisogno di attirare le persone e affidarsi per l’80% a nomi non appartenenti alla comunità e basare tutto sulla parte mainstream, prima che su quella politica. Il risultato è uno sbilanciamento imbarazzante, di cui risente la manifestazione stessa: “Forse sarebbe giusto soffermarsi anche su quei problemi strutturali di cui il Pride non è causa ma vittima e a cui semplicemente ancora deve rispondere” aggiunge Cicconetti “Problemi che però speriamo possano andare migliorando nel corso degli anni, migliorando anche l’esperienza del Pride“. L’obiettivo ci riguarda tuttə e invita a riflettere in modo da evolvere la conversazione, senza creare uno dislivello tra l’affluenza e la reale inclusione: possiamo parlare davvero di inclusività e visibilità se non ci vediamo mai? Possiamo davvero sensibilizzare se i gruppi marginalizzati rimangono fuori dal palco, e la narrazione è sempre affidata all’esterno? Quali problemi strutturali dobbiamo ancora risolvere per essere davvero presenti ovunque, fuori e dentro i nostri spazi? Il dibattito è aperto.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.