L’Unione Europea ha minacciato di bloccare fino a 126 milioni di euro (150 milioni di dollari) di fondi di coesione a cinque province polacche che ancora oggi mantengono attive le ormai tristemente celebri LGBTQ-Free Zone.
La scorsa settimana la Commissione Europea ha inviato 5 lettere ai governatori delle 5 province, avvisando loro che se le risoluzioni omotransfobiche non saranno immediatamente annullate il denaro sarà trattenuto. I fondi congelati provengono dal programma React-EU, lanciato in piena pandemia per aiutare i Paesi UE a resistere alla crisi economica. La dotazione totale polacca è di oltre 1,5 miliardi di euro.
A metà del 2020, quasi un terzo dei comuni polacchi si era dichiarato LGBTQ-Free Zone, suscitando indignazione e polemiche nel resto del vecchio continente. Diversi tribunali polacchi hanno definito simile misura “incostituzionale e discriminatoria”. Da mesi l’UE minaccia Ungheria e Polonia, a causa della loro omotransfobia di Stato. Lo scorso luglio Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva così avvisato Orban e Duda. “Non possiamo stare a guardare mentre alcune regioni si dichiarano libere da LGBT. L’Europa non permetterà che alcune minoranze vengano stigmatizzate. Quando difendiamo la nostra società, difendiamo la libertà della nostra società nel suo insieme“.
Minacce che si sommano, mese dopo mese, diventando ogni volta sempre più ripetitive. A metà agosto la regione polacca di Malopolska non ha ritirato la risoluzione omofoba e ha buttato via 2,5 miliardi di fondi Ue. Dopo mesi di avvisi, sarebbe forse arrivato il degno momento di passare dalle parole ai fatti. Chiudere il rubinetto dei soldi UE per tutti quei Paesi che ostentano omotransfobia con orgoglio. Basta lettere che annunciano eventuali ripercussioni. Rendiamole definitivamente effettive. Se non ora, quando?
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